Berlino è capitale moderna

Raffaela Rondini

 

Berlino è capitale moderna, giusta, dinamica e variopinta di una grande Stato moderno, giusto, dinamico e variopinto. Con tutti i limiti delle città e degli Stati terreni, si capisce.

L’entusiasmo per la fine della divisione della Germania ha prodotto una freschezza di speranze accompagnata prontamente da una soddisfatta realizzazione di concrete e meravigliose opere.

Negli ultimi vent’anni a Berlino si è investito molto per superare una volta per tutte le dolorose  ferite dell’ultima guerra con tutti i suoi vergognosi strascichi e per guardare con ottimismo al secolo futuro.

I grandi architetti si sono espressi al meglio omaggiando la città di costruzioni funzionali, luminose ed ecologicamente sostenibili ed i grandi, piccoli e medi investitori si sono leccati i baffi all’idea della ricostruzione del secolo.

I turisti si affollano da anni per visitare le moderne meraviglie: la cupola del Reichstag, la Hauptbahnhof, Potsdamer Platz ed i ristrutturati Hackesche Höfe, ovvero i cortili in un certo senso protogenitori di tutti i centri commerciali…

E’ questa una città dove persino i giovani si sentono più vecchi dei luoghi e dove è possibile sentire dei trentenni sospirare laconicamente: Eh, un tempo qui non c’era nulla…

Giovani e famiglie si trasferiscono oggi massicciamente in questo nuovo eldorado europeo che offre tutto, o almeno così pare, soprattutto se paragonato ad alcuni stantii luoghi d’origine che invece da offrire non hanno più nulla.  L’eco degli entusiasmi rimbalza da un blog all’altro, da questa a quella  guida e tutti sono al settimo cielo. Berlino scoppia quindi oggi di turisti, nuovi residenti e felicità.

La tecnologia contemporanea permette a giudizi ed opinioni di raggiungere immediatamente folle impensate di uditori e milioni di encicliche che volteggiano nella rete oggi come tema la bellezza di Berlino.

Una città alla moda non ha più privacy, come le celebrità: viene continuamente e morbosamente spiata in tutti i suoi anfratti.

Questo gran fermento è palpabile in tutti i luoghi conosciuti della capitale ed anche in quegli angoli che famosi non lo erano affatto fino a quando non si è deciso di renderli pubblici.

Ciò che solo fino a poco fa era considerato magari impresentabile si afferma improvvisamente e prepotentemente come nuovo culto che miete schiere di proseliti proni agli entusiasmi.

Le mode, si sa, sono fenomeni collettivi effimeri, ma imponenti, sostenuti da impressionanti suggestioni di massa.

Sappiamo anche che le capitali di tutti i grandi imperi del passato hanno da sempre dato sfoggio della propria grandezza con opere colossali: basti solo pensare all’Anfiteatro Flavio, meglio noto appunto come Colosseo, realizzato coi proventi delle tasse provinciali e il bottino del saccheggio del Tempio di Gerusalemme ed a tutt’oggi rispettato simbolo di potenza che fu ed addirittura di bellezza. La Gerusalemme, la Mecca, la Città Eterna di oggi, sono in qualche modo, con rispetto parlando, un po’ Berlino.

Ora, nel nuovo castello che stanno ricostruendo di fronte al Duomo, il mastodontico futuro Schloss, non combatteranno presumibilmente mai gladiatori contro bestie feroci e non verranno presumibilmente mai sacrificati credenti che si rifiutino di riconoscere nel capo dello Stato il proprio dio, ma un certa esigenza di ostentazione di dovizia, quella sì, è un déjà vu.

E’ un fasto legittimo, ci mancherebbe. E’ che pure il fasto poi scappa facilmente di mano e ci si ritrova a costruire compulsivamente per celebrare non si sa più bene cosa.

Berlino fu, com’è noto,  pesantemente bombardata durante l’ultima guerra e ci vollero decenni solo per rimuovere tutte le macerie.

Quando Berlino Est era capitale della Repubblica Democratica Tedesca, i governi filosovietici si erano adoperati per dare alla città una immagine convincente ed orgogliosa di capitale socialista. L’intento riuscì, naturalmente, anche se a discapito del senso della proporzione e dell’armonia. Il regime aveva bisogno di strade larghissime per far marciare le parate, di giganteschi palazzoni dove alloggiare il popolo, di statue spropositate per ricordare allo stesso popolo la statura dei padri fondatori del socialismo e di torri alte, altissime, che toccassero il cielo più in alto di qualsiasi altra cuspide occidentale. Tutto questo è ancora lì, anche se offuscato da nuovi simboli e da nuovi miti.

Se guardiamo poi indietro alla Berlino dei primi del Novecento vediamo ancora una grande capitale imperiale, potentissimo cuore economico ed allegro polmone culturale di un regno in espansione.

A Berlino si è accumulata quindi da almeno tre secoli a questa parte una certa idea di grandeur architettonica, iniziata con un tardo barocco e soprattutto con il neoclassicismo di Friedrich Schinkel per arrivare allo Jugendstil ed all’Art Nouveau, fino all’abominevole piano appena iniziato e mai realizzato dell’architetto nazista Albert Speer, al Barocco Staliniano ed alle prime architetture funzionali dei decenni postbellici che hanno preparato il gusto per le attuali linee trasparenti ed essenziali, ma pur sempre immense, delle nuove opere.

Tutte le costruzioni della città sono sempre state pensate quindi in grande, ovvero per essere frequentate da un gran numero di visitatori.

Nella Berlino di oggi i giovani e gli eterni ragazzi sciamano di qua e di là sentendosi più liberi che mai, non sembrano soffrire di agorafobia e si adagiano su uno stile di vita a dir poco casual.

Non è certo tutta bellezza quella che luccica.

In tutto questo gran movimento di opere di grande ingegno e rappresentanza e di intelligenti avanguardie si insidiano subdolamente anche grezzi carrozzoni che con l’arte hanno poco a che fare. In questi casi la potente Berlino ex-prussiana ed ex-imperiale va poco per il sottile. Lascia che tutto balli animatamente e che si muova sgangheratamente omologato verso nuove avventure.

Lo spirito del tempo infonde grande energia ed in esso si naviga tutti insieme appassionatamente felici col vento in poppa.

In un luogo così è certamente bello vivere, ma è anche facile perdersi perché si viene trasportati da questi potenti flutti che si muovono velocemente negli attraenti spazi della nuova capitale.

Tenendo bene in mente la natura intrinseca di questa grande città, costruita da diversi secoli con l’intenzione di stupire e di persuadere in primo luogo se stessa e poi la nazione ed il mondo tutto del proprio ruolo di potere e del proprio valore intellettuale, ci muoveremo in queste pagine, per contrasto, con l’andatura di un granchio, un po’ a ritroso, un po’ sotto la sabbia tralasciando i rifulgenti miti che si mostrano alla luce del sole per dare per una volta ascolto al sospiro flebile delle piccole cose.

Se si è abituati al rimbombo dei decibel dei torpedoni di turisti ed alle luci dei luoghi affollati si tratterà di acclimatarsi ad ambienti dai suoni quasi impercettibili ed a spazi opachi e solitari, un cammino al chiaro di luna, insomma, piuttosto che alla luce del sole.

Proveremo per una volta ad andare a spasso controcorrente alla ricerca di tracce poco note, minime  o tralasciate di una Berlino passata e da molti dimenticata, ma ancora presente.

La città che non abbiamo mai vissuto è ben conservata non solo negli scritti e nei musei, ma respira ancora in alcuni speciali luoghi segreti, apparentemente inerti, ombrosi e muti, ma che a guardarli bene sanno ancora dare emozioni e raccontare storie.

Quando questi luoghi appartati e malinconici inizieranno ad esprimersi si noterà che non solo è possibile conoscere Berlino a contrariis, cioè dalla sua mesta riservatezza, ma che quello che Berlino non rende noto è talvolta più affascinante di ciò che espone in vetrina.

Ad intraprendere da soli un simile viaggio nella penombra si rischierebbe di ritrovarsi sopraffatti da un turbamento schiacciante, mentre con la giusta compagnia l’impresa sarà felicemente affrontabile.

L’unico compagno di viaggio possibile in questo genere di percorsi è un poeta, una di quelle creature cioè per metà umane e per metà extraterrestri, che hanno come habitat naturale lo spleen, ovvero la malinconia cosmica.

Un poeta in carne ed ossa è estremamente difficile da scovare e quand’anche lo si riuscisse a reperire, questi sfuggirebbe ad ogni uso pratico evaporando.

Ci accontenteremo quindi di immaginare ai nostri fini che un’eterea figura ci si materializzi accanto di tanto in tanto. La creatura sottile si presenterà gentilmente nella nostra lingua appena increspata da uno svagato accento britannico. Sarà un poeta errante, filiforme e pallido, occhialuto e serio che ha attraversato la storia e viene da lontano e dirà che vuole condurci per sentieri meditativi in una Berlino dalle vibrazioni minori.

Passo felpato, vibrisse da gatto, capterà l’impercettibile seguendo una pista che lui solo sa.

Calpesterà le macerie della guerra maledetta sulle quali svettano radar alleati in disuso, correrà quindi a dare un saluto ai prussiani Padri della Patria, pietrificati nel vortice della capitale che si affaccenda tutt’intorno a loro, si struscerà ad un vecchio clavicembalo ed inchioderà davanti ad una parete crivellata dalle pallottole.

Udirà il lamento esistenziale dell’altissima e famosissima torre che scava negli archivi muti della dittatura alla ricerca di se stessa, quindi salterà con un balzo nel giardino di una candida moschea.

Passeggerà sornione sotto le luci dei lampioni Jugendstil dell’ultimo bagno pubblico per approdare finalmente ad un cimitero.

Qui gironzolerà, pago fra le tombe che conservano le spoglie umane di tante storie. Ascolterà, leggerà e si inabisserà oltre i confini del tempo.

Quando riemergerà dall’eterno incontrerà la folla alla porta della città.

6 anni fa