Una città porta quindi sempre il segno del tempo. Berlino, sebbene sia molto vissuta, non è che sia poi vecchissima, l’Isola dei Musei abbiamo già detto che è praticamente una giovinetta appena bicentenaria, mentre i reperti che espone sono a volte molto anziani.
Ogni volta che ci si immerge ad osservare gli oggetti in mostra si fa una specie di viaggio nel tempo, ogni sala ci tuffa in un’epoca, si legge nelle didascalie un po’ della storia delle varie civiltà e si smarriscono brevemente le cornici spaziali e temporali attuali.
Un museo è anche un po’ questo, un’isola fuori dall’oggi che porta lontano.
Al piano terra del Neues Museum, attorno alla sala 104 dove sono esposti piatti e vasi del Tesoro di Troia, quelli meno preziosi, perché gli altri, come dicevamo, hanno preferito rimanere in Russia, si sente un fragoroso spiattellare di stoviglie in frenetico uso, un’allucinazione sonora che dura appena il tempo di realizzare che il fragore proviene dalla Caffetteria Allegretto, ambiente raffinato ed amato dai visitatori benestanti e che affaccia sulla via dove sono spesso parcheggiati i pullman dei turisti e sulla bella sala delle volte ribassate dall’altro.
Anche dal bar si apprezzano quindi squarci di vita di museo e tante sono le fruizioni possibili degli allestimenti quanti sono i tipi e gli umori umani dei loro fruitori e una non è più giusta dell’altra, tutte sono genuinamente apprezzabili.
Il museo coi suoi pezzi e con le sue architetture ed i visitatori coi loro corpi e coi loro caffè collaborano quindi alla composizione dell’intera scena che raccorda passato e presente in un miracoloso tempo magico all’interno del quale la grande kermesse-Storia è indiscussa protagonista, mentre cose e persone vanno alternandosi sul palcoscenico, ritagliandosi tempi, stili e contesti via via cangianti.
Osserviamo che passaggi di questo lungometraggio infinito presentano talvolta personaggi talmente concentrati sulle proprie vicende che non si accorgono della propria limitatezza, mentre in altri momenti taluni si lasciano andare al mistico, al sogno ed alla trascendenza inglobando l’universo intero, ma pur sempre di rappresentazioni si tratta.
Ci troviamo ora in una delle più suggestive sale del Neues Museum, la numero 311 al terzo piano, quella coi muri rosso antico e le vecchie teche nere dai vetri sottili e lievemente ondulati, belle veramente, un tuffo di testa nell’Ottocento museale, una scenografia perfetta coadiuvata dall’inconfondibile aroma ottocentesco che sprigiona dal legno. La sala si chiama delle Collezioni Storiche perché ci mostra parti di collezioni di illustri mecenati che hanno contribuito ad allestire i musei. E’ una sala popolata da nomi importanti che riemergono dal passato, di storie nella Storia, da ricordi di sforzi e di passioni, di slanci e di intuizioni e di tanto, tanto studio. Ma ecco, burlona, una grande finestra portarci alla vista la bandiera della Alte Nationalgalerie, la Fernsehturm ed addirittura i Plattenbauten, i palazzoni alveari della ex Berlino est a ricordarci che in questi allestimenti si recita un’affollata finzione.
I più furbi tra i visitatori lo sanno e mantengono da sempre con il museo un fresco distacco. Gli adolescenti in gita scolastica guardano nelle teche di sbieco, strizzano gli occhi sospettosi non tanto per dubitare dell’autenticità dei reperti, quanto per specchiarsi a controllare che per caso il gel per capelli non abbia ceduto o che l’oggetto del proprio desiderio non stia per caso flirtando alle spalle con qualche altro compagno di classe. Ma no, l’oggetto del proprio desiderio sta sorridendo da dietro l’apparecchio per i denti proprio alla stessa vetrina. Tutto sotto controllo. O che la vetrina, forse, non stia riverberando anche per qualcun altro?
Ecco nuovamente che il museo, da specchio di un passato che non ci appartiene si trasformerebbe magicamente in specchio del nostro teatro quotidiano, riportandoci prepotentemente al qui ed ora esattamente come le grandi finestre della sala ottocentesca aperte sui palazzoni della Berlino ex-socialista dall’alto del nostro punto di vista qui al terzo piano.
All’interno dell’allestimento siamo dunque decisamente tutti, giovani e meno giovani, cittadini e forestieri, acculturati e non, in ogni sala a casa nostra, e siamo liberi di scegliere la nostra personale posizione, guardando dall’alto, dal basso, di sbieco e da dove meglio crediamo, felici di schiacciare tutti i bottoni interattivi consentiti e di fissare, ispirati, i buchi nei muri, perché è di noi, umanità tutta, che ovunque qui si parla e siamo sempre tutti benvenuti attori antichi e nuovi, catalogabili e sfuggenti, passati, ma anche tanto vivi.
Ci sono turisti scaltramente bidimensionali che vengono portati qui, ma che si vede che sono preoccupati per altre faccende, perché hanno un occhio, un orecchio ed un piede ai musei e l’altro altrove. A loro tributiamo il dovuto rispetto se non altro perché sono probabilmente quelli che la selezione naturale sceglierebbe per la sopravvivenza della specie.
Altri osservatori approdano invece ai musei spontaneamente, anche quando non piove, e si lasciano attirare ed incantare dalle opere e dalle storie, subendo il fascinoso trasporto verso altri lidi. Questi ultimi sono quelli che facilmente si perdono in una sala, si sciolgono letteralmente davanti ad una pittura, si innamorano di una statua e pare stiano per scomparire dal presente per entrare, anche senza specchi magici, direttamente dentro un quadro o in un tempo fittizio e bisogna sempre recuperarli con fatica alla realtà.
Esattamente sotto alla sala delle Collezioni storiche troviamo, miracolosamente risparmiata dalla guerra, la già citata sala 211, chiamata anche della Biblioteca dell’Antichità o di Niobe, perfettamente conservata nella sontuosità originaria, con addirittura due coppie di candide cariatidi, copie di quelle di Villa Albani di Roma, a sorreggere monumentali gli architravi dei due ingressi.
Le pareti sono di un bel rosso pompeiano nella loro larga fascia centrale, blu nello zoccolo ed in alto corre un fregio molto elaborato; il pavimento a mosaico presenta disegni di foglie di vite e prevalenza di tessere rosse e blu. Il soffitto è a cassettoni molto leggeri, fatto di mattonelle vuote di argilla e tutta la struttura è sostenuta da architravi simili a quelli che avremo di sicuro notato nella sala delle Collezioni, forniti dall’allora modernissima ditta di locomotive Borsig e consistenti in archi composti da sette tondini fusi insieme e dorati, una struttura leggerissima in ragione del terreno sottostante particolarmente sabbioso e paludoso.
Esattamente come nella sala di sopra, anche qui cinque bei finestroni affacciano prepotentemente sulla Berlino contemporanea.
Abbiamo già detto di quanto la sala offra la visione di testi antichissimi e di quanto sia attuale il mito di Prometeo, citato sul fregio del portale nord.
Volevamo soprassedere per motivi di serenità sul terribile mito di Niobe, al quale gli affreschi della sala sono dedicati, ma così facendo non avremmo reso onore all’eterna e complessa inquietudine della natura umana.
Si narra, ordunque che la regina di Tebe Niobe si vantasse del fatto di avere ben sette figlie femmine e sette figli maschi, mentre Leto, amante di Zeus, di figli ne aveva solo due, Artemide ed Apollo. Artemide pensò bene allora di uccidere tutte e sette le figlie femmine di Niobe per vendicare la madre dell’oltraggio, e, replicando Niobe che ancora le rimanevano sette figli maschi e che questi erano comunque sempre più di due, Apollo uccise quindi anche i sette maschi, sempre per rispetto alla madre Leto. A questo punto Niobe, comprensibilmente addolorata iniziò a vagare per tutta la Lidia fino a quando non chiese a Zeus di trasformarla in pietra per porre fine al proprio strazio. Questi lo fece, ma la pietra continuò per sempre a versare lacrime.
Con questa angosciante immagine della madre-pietra che piange in Lidia, ci precipitiamo a cercare conforto nell’attigua sala 201 dedicata a Bacco con alle pareti quel che resta di un bel viola, color del vino rosso, e di lieti frammenti di affreschi. Il bronzo del cosiddetto Xantener Knabe, Fanciullo di Xanten, ovvero di quella città che si trova sul Reno, ora vicino Düsseldorf, e che i Romani fondarono pochi anni prima della nascita di Cristo come Castra Vetera della Provincia della Germania Inferiore, portava originariamente un vassoio e rappresentava un ragazzo di servizio nei banchetti.
Werner Böcking ci racconta nel suo bel libro sui Romani nel Basso Reno e nel Nord della Germania che la statua fu pescata con non poca sorpresa nel 1858 da sei pescatori di salmone del Reno che pare volessero in prima battuta barattarla con qualche bottiglia di whisky e che poi si ingegnarono invece a mostrarla per qualche tempo ai curiosi compaesani dietro pagamento di modico obolo: 10 Pfennig per guardarla col velo sulle pudende e 20 per la visione integrale.
Dalla sala 201 si apre ai nostri occhi una meravigliosa prospettiva: osserviamo la grandiosa scala che scende centralmente verso il primo piano e le due monumentali rampe laterali che, inglobando quella centrale si portano dal nostro secondo al terzo piano del quale ci si para difronte la grande loggia.
E’ forse questo il miglior punto di osservazione del bellissimo restauro centrale dell’edificio.
Se non fossimo eccessivamente attratti dalla scala e se riuscissimo a non precipitarci a percorrerla in ascesa od in discesa, sarebbe piacevole ora camminare ancora lateralmente a sinistra, verso la contigua sala 202, detta delle Province Romane. Ora, se qualcuno ancora dubitasse della grandezza di Roma qui troverebbe delle informazioni salienti che rendono l’idea delle dimensioni dell’Impero. Si legge che nel II° secolo d.C. le 40 province romane erano popolate da più di 50 milioni di persone di ogni lingua e razza che ebbero modo di conoscere accanto alle proprie tradizioni, anche usi, costumi, diritto, cibi e bevande romani, nonché sistemi romani di sepoltura e costruzione. Se immaginiamo l’impronta che la lingua latina rappresentò per tutte le culture dominate abbiamo ancora un’idea di questa potenza. In modo altrettanto interessante constatiamo che le province orientali dell’Impero rimasero influenzate prevalentemente dalla cultura greco-ellenistica, mentre i Romani si limitarono qui ad introdurre un sistema comune di amministrazione e di giustizia, accettando di buon grado i diversi usi e costumi greci.
Dalla bella sala romana con quel che resta dei classici affreschi arriviamo alla sala 203 dedicata agli Dei Romani. E’ la sala dove è stata ricostruita in modo assolutamente straordinario la cupola sud distrutta nell’ultima guerra. I muri di mattoni grezzi delle pareti vanno rastremandosi ed arrotondandosi verso l’alto in un continuo che sfida le leggi della statica in forma assolutamente moderna. La luce del cielo cala dall’alto del lucernario sulla gigantesca statua di Apollo, dio del sole. Da questo punto speciale ci voltiamo indietro e vediamo una fuga di gallerie che abbiamo appena percorso: la sala delle Province Romane, la sala di Bacco, quella della Biblioteca ed infine, in fondo, scorgiamo in lontananza, dritta di fronte ad Apollo, Nefertiti. Il dio romano del sole guarda la regina egizia del sole e secoli di storia corrono fra di loro.
Se il sole è sempre e solo, fino a prova contraria, uno, la storia dell’uomo ha avuto nel frattempo una grande quantità di divinità del sole.
Tutti i popoli hanno guardato a lungo il cielo e ne hanno misurato i fenomeni per scandire il tempo e per trovare risposte alle proprie numerose incertezze. Se nei cieli abiterebbero da sempre quindi soluzioni, e scienziati ed astronomi ne hanno trovate già numerose, dall’altro l’aria sopra di noi, coi suoi colori e con i suoi vivaci cambiamenti di stato, resta ancora nell’immaginario comune motivo di autentica meraviglia e di emozioni capaci di trasportarci con leggerezza semplicemente oltre i limiti del quotidiano.
Tutte le epoche, religioni e culture si sono dunque lungamente confrontate col cielo, dicevamo, e qui sulla nostra isola come rappresentanti di un non lontano periodo di osservatori diciamo speciali abbiamo l’onore di ospitare i pittori Pre-Romantici e Romantici. Un filone a sé dell’arte Europea fra il 1780 ed il 1840 furono gli interessanti Studi di Nuvole, ovvero l’osservazione della luce e del cielo, soggetto vivo ed in movimento, simbolo dell’anelito all’immensità, all’assoluto e fine più ambito dalle creature sensibili perché lo spirito tende sempre ad elevarsi e a rimanere nel cielo in eterno. Il grande Goethe era ad esempio affascinato dagli studi del farmacista inglese Luke Howard che descrisse nel dettaglio per primo le quattro diverse possibili conformazioni di nuvole. Un cielo può essere, diceva quest’ultimo, nuvoloso di cirri, ovvero di rade fibre di vapore acqueo flessuose e parallele che si estendono ed espandono in ogni direzione, oppure costituito da strati continui orizzontali di nuvole che crescono da sotto, o presentarsi con cumuli di ciuffi conici o convessi che salgono verso l’alto partendo da una base orizzontale od infine minacciosamente formato da nimbi, quei cupi sistemi portatori di pioggia.
Alcuni studi di nimbi del 1834 di Johann Christian Clausen Dahl si vedono nella sala 3.08 al terzo piano della Alte Nationalgalerie, e poi ancora tanti cieli e tante nuvole li ritroviamo vaporosi e luminosi o, al contrario lividi e tenebrosi in tutta la pittura romantica e non solo.
Un altro bel gioco da bambini, eppure serissimo, da fare qui nella nostra galleria, accanto a quello della sopracitata caccia alle accelerazioni dei tempi moderni, sarebbe quello di andare a scoprire ogni volta che tempo faccia nella testa del pittore, notando come a volte basti veramente un soffio per cambiare improvvisamente scenario.
I pittori Romantici amavano allora distendere il pennello nei cieli, ma anche nei paesaggi naturali di sfondo alle costruzioni umane come simbolo di contrasto fra l’eterno ed indifferente riprodursi dei fenomeni della natura, ma anche dell’immensa meraviglia e stupore della bellezza del creato e di Dio e la caducità delle azioni degli uomini. Abbiamo quindi duomi, chiese, castelli, spesso in rovina che indicano il tempo umano e poi invece specchi d’acqua infiniti, come mari dagli orizzonti lontani, o anche placidi specchi d’acqua minori, ma ugualmente profondi e significanti morti, ma al contempo anche rinascite e poi, come dicevamo, cieli, cieli immensi, sogno di Dio e di ritorno all’unità cosmica ed al superamento di ogni dualismo.
Nella centrale sala 3.05 sempre al terzo piano della Alte Nationalgalerie troviamo molti esempi di pittura romantica con tutti i suoi tipici elementi volti ad esprimere il compimento ultimo della bellezza attraverso il superamento del contrasto tra natura e cultura, tra spontaneità ed educazione, fra libertà e regole che si ricompone in favore di un ordine naturale superiore. Nello Schloß am Strom, Castello sul Fiume di Friedrich Schinkel del 1820 siamo di fronte ad un paesaggio da fiaba con al centro un grande albero, come di una natura che si erge più potente del castello che rimane invece in secondo piano. Al tronco dell’albero c’è addirittura un tabellone per il tiro a segno. La vite, la colomba e la chiesa sono tutti simboli di vita ultraterrena, la tomba ricorda il fermarsi delle cose umane, mentre il cervo, ieratico, guarda oltre. Il castello si arrocca su una collina a strapiombo su un’insenatura. Una barchetta a vela va lontana, mentre una chiatta carica di persone è a noi più vicina. E poi ancora piccole guglie e campanili e due bambini che raccolgono l’uva. Un gran respiro di vita e di morte, di movimento e di quiete, di ascesa e discesa, insomma una sintetica, splendida rappresentazione del tutto, illuminato da una calda luce centrale che sprigiona da dietro. La conformazione delle nuvole è qui ariosa, ma gli alberi coprono il sole e buona parte del cielo.
E ancora variazioni sulla ricomposizione fra reale ed ideale, fra arte e natura, fra volontà e istinto sono la già citata Chiesa gotica su uno scoglio sul mare del 1815 e Duomo gotico sull’acqua, del 1813, sempre di Schinkel e sempre in questa sala esposti l’uno accanto all’altro. Bellissimi sono i cieli del primo, con una luce rosa del tramonto che illumina anche qui tutto da dietro, come pure le nuvole di luce e ombra del secondo che contrastano con i colori chiari e scuri dell’aria. In primo piano, nel Duomo gotico sull’acqua sono le varie attività umane: uomini che scaricano una barca, un marinaio che beve e la sua bella, mentre sul sagrato della chiesa vanno e vengono ancora persone e sul prospiciente molo stanno ancora barche attraccate. Un ponte dalle immense arcate guada il fiume e raccorda l’imponente costruzione a sinistra che con le sue guglie e pinnacoli bucano il cielo e il borgo in basso a destra del quadro e si pone anche come elemento di transizione orizzontale fra lo specchio d’acqua ed il grande cielo ad esso soprastante.
Un cielo pulitissimo senza neppure una nuvola è quello che fa da sfondo alla luminosissima Torre del Duomo di Milano, un capolavoro di luce di Johann Karl Schultz del 1829, la realizzazione ultima dell’infinito attraverso la luce divina.
Altro contesto di sovrapposizioni celesti lo troviamo volando a trovare al vicino Bode Museum la nonna di Gesù, Anna per le chiese protestanti, Sant’Anna per i cattolici. La celebre scultura del 1500 in legno di tiglio del grande Tilmon Riemenschneider qui esposta si chiama innocentemente Anna e i tre mariti, intendendo con essa semplicemente rappresentare nello stesso istante i tre successivi uomini della pia donna, ovvero Gioacchino, il nonno di Gesù e padre della Madonna, Cleofa, padre di Maria seconda e Salomas, padre di Maria terza.
La visita a Sant’Anna ci tuffa in un’altra dimensione temporale ancora inaspettata. Osserviamo che Maria, la madre di Gesù non aveva solo due sorelle omonime, bensì è stata essa stessa tante Marie diverse, a seconda del periodo storico ed artistico nel quale veniva rappresentata.
Al Bode Museum ammiriamo tante splendide marie ed ognuna sembra raccontare per un verso la stessa storia, ma per altri tante storie diverse. Sono marie con vesti, visi ed atteggiamenti vari, ma tutte figlie di secoli religiosi, laddove con religiosi si intendono anche Crociate, Riforma e Inquisizione, naturellement. Vediamo serene marie dai quattrocenteschi visi tondi, popolari marie gotiche dai visi oblunghi, delicatissime marie ragazzine, marie profondamente consapevoli e marie barocche che sembrano statue di cera, incredibilmente inondate da lacrime e dolore.
Di ogni statua, quadro o rilievo si potrebbe a lungo parlare. Al Bode Museum sono esposte madri di Gesù che furono realizzate dal 300 al 1800, ovvero si presentano alla nostra vista ben quindici secoli di arte mondiale a noi relativamente vicina e conosciuta accostati insieme.
Non possiamo ora qui fermarci a descriverle tutte, ma un giro a guardarle merita proprio.
La vita di Maria, il cui culto iniziò con il concilio di Efeso nel III° secolo, regnante Costantino, viene in queste sale ampiamente rappresentata con un dispiegamento iconografico che va dalla piccola Madonna neonata ancora in fasce fino alla sua morte che però per i credenti normale morte non fu, bensì dormizione e poi assunzione. La madre di Gesù ha età, volti e fattezze sempre diverse e questo breve viaggio attraverso i modi di rappresentarla è un affascinante percorso fra i popoli, le mentalità, la religione, gli artisti, i committenti e la Storia.
Berlino non è certo la città immediatamente associata alla natività o alla figura di Maria nella storia dell’arte e non è che si venga normalmente a Berlino per una Madonna, ma i musei hanno anche questa magica funzione di dispensare sorprese e di avvicinare storie e culture lontane facendole incredibilmente convivere in celeste armonia.
Le Madonne del Bode Museum che si offrono placidamente allo sguardo di tutti ed al contempo rimangono mestamente estranee alle luci più note di Berlino appartengono senz’altro alle meraviglie segrete della città.
Nelle Madonne del Bode Museum c’è un universo intero, un intimo microcosmo di insospettabile vitalità protetta dal silenzioso bozzolo di un arioso ed elegante edificio neobarocco.
In un solo giorno possiamo cioè oggi vedere mirabilmente scorrere i secoli nel volto di una stessa splendida donna.
Maria è polacca, Maria ha le gote rosse e paffute di una mugnaia tirolese, Maria bavarese ha il viso tondo ed una fossetta sul mento, Maria ha la pelle liscia ed i lineamenti fini di Boemia, Maria è una matrona francese, Maria è bella come una dea greca, la sua figura bianca lucida contrasta nei rilievi del Della Robbia con l’azzurro lucido dello sfondo;
Maria è una simpatica austriaca dagli occhi vispi, Maria è una nobildonna fiorentina, Maria è una ragazzina seduta su un ginocchio di sua madre, mentre sull’altro sta già Gesù bambino, Maria ha gli occhi stupiti delle icone bizantine, il viso lungo e la pelle olivastra, Maria italiana scherza nel Trecento con Gesù bambino, mentre un’altra bionda e slanciata trecentesca Maria italiana indietreggia un poco spaventata, probabilmente dall’annuncio dell’angelo e muove appena le pieghe della sua luminosa veste arancione, lasciando intuire la bellezza delle sue forme. Maria ha una collana di perle, Maria siede placida su un trono mentre alle sue spalle scorrono altrettanto placidamente le colline toscane, oppure è una Vergine manierista tutta contorta, Maria sta in piedi su una luna crescente, Maria sta su un leone, Maria tardogotica vestita d’oro ripara tutto il popolo di Ravensburg sotto il suo azzurro mantello,
Maria fotomodella viene avanti ancheggiando reggendo la sua ricca veste settecentesca, i capelli morbidamente raccolti e lo scialle che cade vezzosamente su un lato, Joseph Anton Feuchtmayer chissà che visione ha avuto. Maria belga ha riccioli biondi nel cinquecento, Maria sta con Gesù Bambino e un pappagallo, Maria barocca spagnola ha un viso che sembra di cera e piange lacrime che sembrano vere, Maria ha il volto teso ed affilato, Maria si accascia ai piedi della croce, sconvolta dal dolore, Maria sta accanto ad una fontana di un giardino quattrocentesco, Maria si sposa, Maria cerca di contenere Gesù bambino che a volte gioca con una mela, a volte punta i piedi e si gira di scatto a guardare qualche santo vicino, o stropiccia le pagine di un libro, o addirittura, bambino prodigio, il libro si concentra a leggerlo. Gesù bambino a volte ci porge il paffuto sedere nudo e si tira su in piedi sul grembo di sua madre, a volte le si aggrappa al collo o gioca a fare cucù sotto il suo velo, a volte sorride e mostra i primi dentini, a volte mette gli occhi in quelli della madre con un’intensità che di più non si può, come nel bassorilievo della Madonna de’ Pazzi di Donatello.
Una forza centripeta avvicina in questo famoso tondo il bambino alla madre in uno dei misteri più densi della religione cattolica. E’ nata prima la madre o il figlio? Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, scriveva Dante nel Paradiso, umile e alta, più che creatura, cioè sublime tramite fra Dio e gli uomini, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ’l suo Fattore non disdegnò di farsi sua fattura. E’ in te che Dio ha deciso di incarnarsi per scendere fra gli uomini, Nel ventre tuo si accese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore. Qui se‘ a noi meridïana face di caritate e giuso, intra ’ mortali, se’ di speranza fontana vivace. Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre. Tu aiuti chi si rivolge a te, ma spesso prima ancora di venire invocata arrivi in soccorso. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate…In te si racchiudono, insomma, praticamente tutte le virtù possibili ed immaginabili e tu sei tutto ciò di cui il genere umano ha bisogno. Dante pare non avere proprio dubbi: la figura della Madonna è simbolo ultimo di speranza e di potente amore puro ed universale.
E’ incredibile quanto sia in incognito la Madonna a Berlino e quanto essa sia magica moltiplicatrice di tempi santi, riportandoci ai secoli in cui la religione cristiana, ignara del fardello dei suoi orrori, fosse per buona parte dell’Europa praticamente tutto. Le audioguide sono al Bode Museum solo in tedesco ed in inglese ed i visitatori sono pochi adepti, lasciamo che sia. Dall’alto della chiara e dorata neobarocca cupola del Bode si può gustare un caffè rarefatto ed esclusivo.