C’era una volta un giardino e ci sono ora cinque musei

Raffaela Rondini

 

Questo terreno così vicino al fiume venne sistemato per la prima volta nel 1600 come giardino di erbe medicinali, ma anche come giardino botanico contenente piante esotiche e piante acquatiche e dove era gradevole passeggiare, di qui il nome di Lustgarten, Giardino del Piacere. Quando i turisti approdano oggi dagli autobus di linea a questi ex giardini nei quali sono fioriti il duomo ed i classicissimi musei, si sentono annunciare con voce secca e perentoria la fermata: Lustgarten!, cosa che suscita nei passeggeri che intendono il tedesco un’improvvisa smorfia di ilarità.

Quindi l’Isola dei Musei è andata a sovrapporsi storicamente e nominalmente al cosiddetto Giardino del Piacere, ma il cosiddetto Giardino del Piacere si conserva nella fermata dell’autobus e nelle smorfie divertite dei passeggeri. Un residuale, ancestrale ricordo del piacere sensuale lo si ritrova, per amor del vero, anche nella nascosta saletta Garten der Lüste, al primo piano del più vecchio dei cinque musei, l’Altes Museum, casualmente proprio all’altezza della sezione dedicata alle splendide ville romane coi loro mosaici, le loro statue ed i loro preziosi servizi infiniti di stoviglie in argento. Nella laterale saletta Giardino dei Piaceri sono esposti oggetti antichi dal tema erotico, da dipinti di satiri eccitati che sbucano fuori dalle rocce e spogliano ninfe, a scene d’amore fra satiro ed ermafrodito, bellezza transessuale dell’antichità, figlio della splendida Venere e del vivace e mutevole Mercurio, da sequenze amorose indifferentemente etero ed omosessuali, ad amplessi tra fanciulle ed animali, a lampade, campanelli e portafortuna romani di forma fallica di ogni dimensione, al torso di Venere…ma torniamo a noi.

Sul terreno del giardino botanico del piacere, dicevamo, si volle quindi costruire alla fine del XVIII° secolo un ideale di storia, di arte e di orgoglio prussiano in un periodo in cui si andava sviluppando anche nel resto d’Europa l’idea di museo.

La parola museo è antica, deriva dalle muse, le dee protettrici dell’arte, della cultura e della scienza. Ai tempi ellenistici il museo era il quartiere nel quale si trovava la famosa biblioteca di Alessandria, ma quello che oggi intendiamo con la parola museo è un concetto relativamente giovane.

Fino al XVIII° secolo le collezioni di reperti di valore storico ed artistico erano di proprietà privata e non venivano esposte al pubblico. Il popolo non aveva a quell’epoca un accesso così diretto alla conoscenza, non aveva d’altronde neanche scuole ed una cultura pubblica.

Pezzi di provenienza eterogenea o anche legati da un tema comune erano allora esposti negli studi, nei cosiddetti gabinetti, nelle sale artistiche, nelle gallerie spesso annesse alle biblioteche o che si trovavano nei castelli o nelle dimore patrizie. Avevamo per esempio qui e lì la sala degli argenti, la sala dei reperti naturali, la sala delle carte geografiche, la sala dei busti e così via…

In Prussia si cominciò a parlare ufficialmente di presentare al pubblico le bellezze dell’antichità a partire dal 1797. Il primo museo europeo nasceva a Londra nel 1753, mentre in Germania il primogenito dei musei fu quello di Kassel aperto nel 1779.

Se pensiamo che Berlino fino al 1810 non aveva ancora un’università possiamo immaginare che il pensiero di ospitare le opere antiche in una residenza d’onore sia stato uno dei primissimi passi volti a far diventare la nostra città una capitale di rango.

Fino a poco più di due secoli fa la capitale prussiana, calpestata ed occupata ripetutamente da truppe austriache, francesi, russe e di ogni dove, era una città molto pragmatica e militare e poco di corte e di lettere. A Berlino la nobiltà veniva di scappata a trascorrere un paio di mesi l’anno tra dicembre e gennaio, tanto durava la stagione di balli, teatri e concerti e poi si congedava perché non c’era più nulla di interessante da fare, il popolo si arrangiava come al solito per sopravvivere, mentre una ristretta cerchia di intellettuali illuminati e giramondo si andava incontrando privatamente, ora a casa dell’uno, ora a casa dell’altro nei cosiddetti saloni letterari a raccontarsi di quanto più vivaci fossero le altre città della Germania e del mondo ed a tramandarsi gli echi della Rivoluzione francese. Ogni tanto si levava qualche democratica ondata sterminatrice di colera, ma per il resto la società rimaneva strutturata in modo piuttosto rigido. I frequentatori dei saloni erano personaggi poliedricamente colti, di formazione classica e cosmopolita e, vivaci e sensibili, a volte si lodavano gli uni con gli altri, altre si stroncavano reciprocamente indignati, ma comunque animavano sempre l’aria brandeburghese di ideali e conoscenze. Questo fermento intellettuale incontrò l’ambizione e l’orgoglio dei sovrani, ora l’uno, ora l’altro, più o meno determinati a trasformare la capitale prussiana in una bella e vivace città, o, come fu detto allora, in una Atene sulla Sprea. 

A quei tempi era attivo a Berlino anche Friedrich Schinkel, disegnatore, pittore, architetto, nonché Sovrintendente all’Edilizia prussiana, amico personale del coltissimo Wilhelm von Humboldt, Ministro della cultura e fondatore, appunto nel 1810, dell’Università di Berlino.

A Schinkel fu chiesto di edificare il primo museo dell’Isola, quello che oggi chiamiamo l’Altes Museum e che venne costruito tra il 1825 ed il 1830 ancora con materie prime e tecniche di lavorazione antiche.

Solo per costruire le fondamenta che consistevano praticamente in circa 3000 pali piantati allora nell’acqua con mezzi puramente meccanici, ci vollero due anni. Per fissare un solo palo occorreva infatti una squadra di circa quindici lavoratori.

Alla fine di tanto sforzo si vide ciò che per molti è la più celebrata costruzione di Schinkel ed il più alto esempio di classicismo tedesco.

Ecco ancora oggi davanti ai nostri occhi questo portico che ricorda gli Stoà dove camminavano i filosofi greci, disquisendo fra loro e coi propri discepoli di ogni tema al riparo dal sole cocente. Il portico di Berlino non protegge i filosofi dal sole, ma armonizza gradualmente lo spazio aperto della piazza con i volumi interni dell’edificio in modo sublime. Si sale, anche solo con lo sguardo, la larghissima, placida scalinata sormontata da diciotto eleganti colonne ioniche in corrispondenza delle quali stanno appollaiate sul tetto altrettante aquile prussiane in vedetta, nove orientate a levante e nove a ponente, sentinelle perfettamente schierate, e si è pronti ad immergersi nella Storia.

L’antica Grecia e l’antica Roma sono le civiltà d’onore ospitate dal magnifico Altes Museum.

La rotonda sala all’ingresso con le sue gigantesche colonne sormontate da capitelli corinzi ricorda in piccolo quella del Pantheon di Roma, con lucernario qui chiuso da un vetro. Nella sala circolare sono ospitate statue di dei greci e romani sia al piano terra che nella balconata tutta intorno delimitata da una bella ringhiera dorata. Quello che colpisce maggiormente di questo spazio sono forse i suoi splendidi colori caldi e tenui, dal crema delle colonne al pesca dei muri, al rosa antico con gradazioni verso il rosa salmone dei cassettoni della volta, al rosso pompeiano delle pareti superiori che ben fa risaltare le candide statue, in una gradevole, avvolgente ed antica armonia.

La volta a calotta è una sorpresa segretamente racchiusa solo all’interno perché all’epoca solamente chiese o palazzi dell’imperatore potevano essere ufficialmente coperti esternamente da cupole. Nella sala centrale dietro alla rotonda troviamo a fare gli onori di casa il celebre Betender Knabe, Fanciullo che prega che ci accoglie letteralmente a braccia aperte.

Non è oggi nostra intenzione illustrare le opere esposte nei musei, non ci basterebbe una vita per farlo, ma il giovane che ci viene incontro più che una statua è un mito.

Il ragazzo fu scolpito a Rodi nel 300 a.C., o come avrebbero detto a Berlino Est, nel 300 v.u.Z, che, ricordiamolo, starebbe per vor unserer Zeit, cioè nel 300 p.n.t., prima del nostro tempo e venne ritrovato nel 1505 n.t., cioè 1800 anni dopo, sempre giovanissimo, ma senza piede sinistro e senza avambracci. Gli arti però non erano persi. Fu portato a Venezia nella seconda metà del 1500 e qui gli venne riattaccato il piede sinistro, viaggiò quindi in Inghilterra, in Francia, come un globetrotter dell’epoca barocca. A metà del 1600 ebbe braccia nuove ed occhi per guardare un nuovo mondo, gli venne curata la ferita al collo, le tre piaghe alle gambe e gli si sistemarono le dita dei piedi.

Così nuovo com’era, all’inizio del Settecento andò a Vienna e qui lo si dipinse di nero. Nel 1717 fu venduto per 18.000 franchi al principe Eugenio di Savoia e nel 1747 lo comprò per 5000 talleri Federico II per esporlo a Potsdam nel suo bel parco di Sanssouci. Il giovane greco resistette, stoico, alle intemperie, ma il suo bel corpo si sciupò di nuovo. Fu quindi ospitato all’interno del castello fino a quando non venne rapito da Napoleone ed esposto  brevemente al Louvre per poi essere liberato e riportato a Berlino. Il diciannovesimo secolo gli regalò ancora braccia nuove ed un corpo ripatinato.

Dopo la guerra il ragazzo andò in Unione Sovietica e lì vi rimase fino al 1958.

Dal 1998 il nostro bel giovane è stato investito del ruolo di anfitrione per i visitatori di tutto il mondo, un eterno adolescente dal fascino sublime, esattamente come la città che lo ospita. Kalimera! Guten Tag!

Il Neues Museum, Nuovo Museo, fu costruito per secondo e venne chiamato così proprio per distinguerlo dal primo, conformemente alla ferrea logica prussiana. Il primo museo però non si chiamava ancora Altes Museum, bensì Königliches Museum, Museo Reale.

Quindi il nome Neues Museum, Nuovo Museo è più vecchio del nome Altes Museum, Vecchio Museo, uno scherzo cronologico o, se vogliamo, un eccesso di logica prussiana.

Dal momento che dobbiamo  far passare anni prima che riaprano il Pergamon e che con qualcosa dovremo pure intrattenerci, aggiungiamo pure, sempre così, pour parler, che il Neues Museum, ospita, a dispetto del nome e del proverbiale rigore di questi luoghi, i reperti più antichi, cioè quelli che riguardano la Preistoria, l’Antico Egitto ed il Medioevo, un altro trompe l’oeil cronologico.

A tutto ciò, naturalmente, c’è una granitica spiegazione.

Se l’Altes Museum era stato opera del grande artista classicista e visionario Friedrich Schinkel, il Neues Museum fu edificato su progetto di Friederich August Stüler in senso più storico che artistico con il profondo e razionale convincimento che solo chi conosca la storia possa poi apprezzare l’arte. I decenni centrali del XIX° secolo furono infatti caratterizzati da un vero e proprio furor, una passione smisurata per la storia.

Il Neues Museum non è quindi semplicemente Museum a patre beatissimo conditum ampliavit filius MDCCCLV, come recita retorico il frontone, non è cioè solo un ampliamento dell’Altes Museum voluto da Federico Guglielmo IV per onorare la memoria del padre Federico Guglielmo III, che aveva a sua volta voluto l’Altes Museum, ma qualcosa di veramente nuovo nel suo scopo e questa anima di modernità la troviamo da subito anche nella sua tecnica di costruzione.

Solo poco più di dieci anni erano passati dall’inaugurazione del museo di Schinkel quando si iniziò nel 1843 a costruire il Nuovo Museo.

Non tutti i decenni sono uguali, si sa. In quella manciata di anni la capitale prussiana fu baciata oltre che dall’amore per la Storia, anche dal progresso tecnico. Berlino sarebbe presto diventata una delle città più importanti della Rivoluzione industriale, ricordiamolo. Qui sarebbero nate di lì a poco, la AEG, la Osram, la farmaceutica Schering, l’AGFA e la zona si sarebbe burrascosamente trasformata da landa di accampamenti militari a pesante città industriale e proletaria con quartieri operai grigi e malsani e lavoratori affamati e decimati dalle epidemie. La primogenita grande fabbrica berlinese fu la Borsig, a lungo la seconda più grande industria mondiale di locomotive, venuta alla luce nel 1837. Il Neues Museum venne perciò costruito anche con l’aiuto di una macchina a vapore della Borsig che aiutava a trasportare i materiali ed a piantare i pali di legno nella melma. Si poterono in questo modo erigere le fondamenta del Nuovo Museo nell’arco di un solo anno, mentre abbiamo visto che per piantare i piloni del Vecchio Museo di anni ce ne erano voluti due.

Si utilizzò inoltre ampiamente il ferro per le travature e l’edificio risultò da subito slanciato ed elegante e poi decisamente nuovo.

Non mancarono naturalmente i critici che vedevano nelle moderne tecnologie e nella leggerezza della struttura una mancanza di solidità e quindi di garanzia di longevità.

Segno che di nuovi tempi si trattava, spuntò persino dal lato sud del nuovo edificio, il più vicino all’Altes Museum, una timida cupola la cui sala costituiva un elegante snodo fra le due costruzioni che vennero collegate da una galleria. Dalla sala della cupola sud bastava allora scendere undici gradini, salutare il ritratto di Costantino che riconosce la religione cristiana e si poteva entrare nell’Altes Museum. Viceversa per accedere al Nuovo Museo, gli undici gradini si percorrevano in ascesa e si incontrava allora il Ritratto dell’imperatore Augusto che segnava il passaggio al Nuovo Museo. Questa interessante galleria di comunicazione fra il Vecchio ed il Nuovo se la portarono via, assieme alla timida cupola ed a molto altro i bombardamenti dell’ultima guerra.

La Alte Nationalgalerie fu voluta per testamento dal console Joachim Heinrich Wilhelm Wagener che donò al Kaiser Guglielmo I la sua collezione di oltre 260 opere a condizione che fosse fondata una galleria nazionale. Nel 1861 si iniziarono i lavori per costruirla secondo i piani di Stüler. Quest’ultimo morì nel 1865 senza poter vedere la sua opera compiuta e della conclusione di questo antico tempio sopraelevato su uno zoccolo di dodici metri al quale si accederebbe per un’elegante doppia scalinata si occupò l’architetto Johann Heinrich Strack. In realtà alla Alte Nationalgalerie si entra di norma più comodamente dal basso attraverso il profondo portale a tutto sesto e la solenne scalinata resta a motivo prevalentemente ornamentale, coronato da una incombente statua equestre a Federico Guglielmo III.

L’edificio venne inaugurato nel 1876, ma sul suo frontespizio si legge ufficialmente l’anno dell’unificazione tedesca, il 1871, una piccola forzatura cronologica che ben si sposa con la patriottica dedica Der Deutschen Kunst, All’Arte Tedesca.

Il museo avrebbe dovuto quindi raccogliere  soprattutto arte tedesca, ma, a dispetto dei propositi la collezione prese già dall’inizio una piega molto internazionale.

Direttore del museo fu nominato Hugo von Tschudi, appassionato di arte contemporanea che a quei tempi era rappresentata massimamente dagli scandalosi pittori impressionisti, oltretutto francesi, cioè nemici freschissimi.

In pochi anni la galleria d’arte tedesca era talmente piena di pitture impressioniste, più di qualsiasi altro museo al mondo, da alimentare negli animi conservatori un crescente ribollire di risentimento che culminò con il licenziamento dell’innovatore e cosmopolita Hugo von Tschudi nel 1908.

Il Bode Museum prese il suo nome attuale solamente dopo la guerra, nel 1956, in omaggio al colto direttore dei musei dell’isola, Wilhelm von Boden, uomo di legge con la passione per l’arte, detto anche, a causa della sua tempra, il Bismarck dei musei.

Quando fu costruito dall’architetto di corte Ernst von Ihne, tra il 1896 ed il 1904, si volle devotamente chiamare l’edificio Kaiser Friedrich Museum.

Questo palazzo di impronta tardo rinascimentale-barocca sorge suggestivamente sulla punta estrema dell’isola e, come la prua di una possente nave sembra spartire le acque della Sprea e del suo piccolo affluente, il canale detto Kupfergraben.

Grandi sforzi si fecero per costruire questo imponente bastimento di terraferma praticamente sull’acqua.

Al Bode Museum tutto viene concepito teatralmente per stupire, come nelle migliori intenzioni dell’arte barocca. Gli oggetti sono esposti in ordine cronologico, certamente, per epoche, con predilezione per l’arte gotica, romanica, rinascimentale e barocca, ma anche accostati in modo eterogeneo, come a voler offrire una interpretazione più emotiva e globale.

Le due rampe della scalinata monumentale salgono su torte ed opulente, per nulla simili alle chiare e geometriche scalinate classiche del Vecchio e del Nuovo Museo e della Alte Nationalgalerie. Il barocco del Bode Museum è comunque chiaro ed arioso, lontano dalla densità decorativa del Seicento italiano o spagnolo. E’ insomma un neobarocco novecentesco forse anche un po’ figlio del Liberty, candido, morbido e bordato d’oro.

E’ con grande orgoglio che vengono presentati subito all’entrata al mondo intero anche i bagni, con i teatrali Damen e Herren, inscritti a caratteri ben visibili nei fregi sormontanti gli ingressi delle rispettive ritirate, una grande conquista della Berlino dei primi del Novecento.

Il Pergamonmuseum che vediamo noi fu l’ultimo ad essere costruito tra mille stenti fra il 1912 ed il 1930, negli anni della Prima Guerra Mondiale, della Grande Inflazione e della Crisi Economica Mondiale su progetto dell’architetto Alfred Messel e completato dall’amico e collega Ludwig Hoffmann allo scopo prevalente di contenere l’Altare di Pergamo e ad oggi, con un milione di visitatori l’anno, il più visitato.

Fino al 1958 lo chiamavano ancora noiosamente Museumsneubau, Palazzo Nuovo del Museo, ma col tempo il muscoloso altare fagocitò honoris causa un nome tanto piatto.

Dobbiamo qui ricordare per amore del vero che ci fu un primo tentativo di costruzione del Pergamon, inaugurato nel 1901 e buttato giù nel 1908 a soli sette anni di vita perché instabile.

Quello che vediamo ora, quindi, è il Pergamon 2, ovvero la sua seconda vita.

Il fatto che oggi le sue sale più famose siano chiuse al pubblico per la pluriennale impegnativa ennesima ristrutturazione lo lascia tutto sommato elegantemente distaccato.

La futura Galleria James Simon sono ad oggi intanto pompe, container, ponteggi, chiatte galleggianti sul canale Kupfergraben che portano gru cingolate e poi tanta sabbia e fango e stridere e trapanare e motori continui interrotti da boati.

Il Pergamon 2 è conscio nella sua somma sapienza che tutto si trasforma e sta attendendo la venuta dei prossimi Tempi Moderni.

6 anni fa