Mitte

Raffaela Rondini

 

Mitte significa Centro e Centro è anche il nome del centrale quartiere di Berlino una volta appartenente alla Repubblica Democratica Tedesca ed oggi contenitore di tante diverse identità. A Mitte c’è ora tutto e niente, nel senso che dopo la caduta del muro si è scoperto improvvisamente che questo era fisicamente il cuore della nuova e vecchia capitale e che prima possibile ne sarebbe presto divenuta anche la nuova immagine simbolo da rilanciare urbi et orbi. Prima ancora che questo concetto fosse partorito da una berlinese speculazione filosofica scattò pronta, bruciando sul tempo la paciosa filosofia, la grintosa speculazione edilizia.

Mitte diventò quindi l’economia attorno alla quale ha fino ad oggi ruotato in questi due abbondanti decenni l’altrimenti pigro spirito imprenditoriale berlinese.

Anche in questo caso, a dire il vero, investitori e capitali sono poco berlinesi e molto globalizzati ed anche la manodopera parla benissimo il polacco, capisce il russo e diverse lingue slave.

Da vent’anni a questa parte Mitte ha subito degli sbudellamenti e dei restauri senza precedenti nella pur movimentata storia edilizia di questa città. In questi anni sembravano improvvisamente tutti morsi dalla tarantola dell’edonismo. Ciò che prima era normale, improvvisamente diventava una vecchia rovina sulla quale operare. I simboli della Repubblica Democratica Tedesca vennero frustati con delle gigantesche palle d’acciaio spenzolanti da enormi catene appese a caterpillar e ridotti in fumanti polveri. Da vent’anni a questa parte Mitte non fa altro che fumare esportando le sue ceneri, complice il vento, negli adiacenti quartieri. La lotta quotidiana contro le nubi di materiale edile polverizzato la fanno gli idranti che cercano di bagnarle e di farle riprecipitare al suolo, ma non sempre, non tutti i cantieri la vincono e così a Mitte c’è prevalentemente aria di terra polverizzata, nelle sue numerose varianti di stato.

C’è aria di calce, c’è aria di cemento, c’è aria di mattone e c’è aria di sabbia… In molti punti si respira anche aria di vernice che si mescola all’odore di carburante combusto. Ai tempi della Repubblica Democratica Tedesca si respirava aria di miscela di Trabi, perché i motori erano a due tempi come quelli dei motorini e poi non c’erano molte altre macchine: la gente si muoveva tutta in S-Bahn o coi tram. Ora a Mitte ci sono tanti veicoli diciamo così normali, cioè coi motori a quattro tempi di coloro che si spostano volentieri col mezzo proprio e che sono per la maggior parte non berlinesi. Il fatto che ci siano poi cantieri praticamente ovunque crea delle deviazioni del traffico, dei restringimenti di corsia, dei veri e propri blocchi e così tanti mezzi si ritrovano in fila ad aspettare magari ad un semaforo un senso alternato con il motore acceso, mentre le esalazioni dei gas di scarico si moltiplicano. Detto così sembrerebbe un incubo, ed infatti lo è, ma poi il turista si diverte lo stesso e poi tanto chissà da quali altri inquinati anfratti del pianeta proviene. Quanto ai berlinesi, questi ne hanno pur sempre viste di peggio e sopportano, a prescindere, bonariamente sempre e comunque, seppur brontolando. Qualcuno crede persino che tutto ciò porterà ad un collettivo progresso civile. Lo abbiamo fatto per Voi di sbranare Unter den Linden per donarVi finalmente una nuova galleria di negozi, così risparmierete di fare a piedi i cinquanta metri che Vi portano a quell’altra meravigliosa galleria di negozi che sempre per amor Vostro abbiamo appena realizzato. Ed intanto per qualche mese avete dovuto subire il piccolo incomodo di uscire due volte al giorno dalla U6 fra Französische Straße e Friedrichstraße, ma lo avete visto bene attraversando il cantiere due volte al dì e seguendo lo stato dell’arte così da vicino che tutto questo lavoro lo stiamo facendo per Voi…

La vita senza illusioni sarebbe d’altronde poca cosa. Il cantiere di Unter den Linden ci fa comunque sognare. Ci fa sognare soprattuto che sia presto finita.

Mitte si potrebbe anche per un quarto d’ora godere dall’alto, ammesso che si posseggano venti euro. Si potrebbe andare allora in uno dei pochi giorni non ventosi dell’anno, o meglio nei quali il vento non supera i 13 m/s su e giù in mongolfiera senza mai staccarsi veramente però dal suolo. Si ascenderà fino a 150 metri con un moto che sembra un cullamento di una mamma scattosa e con la voce preregistrata che man mano che si sale rassicura che si è sicuri, sempre più sicuri, e quando si raggiungerà il massimo dell’altezza e della sicurezza si abbraccerà con uno sguardo tutta, ma proprio tutta la città e poi si tornerà giù quando il robusto cavo d’acciaio di 22 mm di diametro si avvolgerà di nuovo. Se il robusto cavo d’acciaio di 22 mm di diametro si avvolgerà di nuovo. Poiché la mongolfiera è un mezzo di trasporto aereo ci guiderà in alto un vero pilota che ci rassicurerà anche del fatto che il pallone che contiene 5.500 metri cubi di elio non esploderà mai come i primi dirigibili che erano invece riempiti di idrogeno. Il vento di sud-est lo chiamano qui Sarotti, che è anche il nome di una antica fabbrica di cioccolato di Kreuzberg. Quando soffia il Sarotti arriva quassù diretto ed intenso l’odore di cioccolato. Per sapere tutto sul vento di Berlino, che è cosa diversa dal sapere se il tempo sarà bello o brutto, basta consultare il sito della mongolfiera. In linea di massima quando si vede una bella giornata limpida di sole, soprattutto durante le mezze stagioni, ci si aspetterà che il pomeriggio sia poi ventoso perché correnti di aria calda e di aria fredda si scontrano. Si apprenderà poi che il vento a terra si muove mediamente tre volte più lentamente delle correnti d’aria a 150 m dal suolo e che molto di ciò che avviene a livello atmosferico è dovuto all’incontrarsi di correnti di alta pressione, che ruotano sempre in senso orario e correnti di bassa pressione che girano in senso opposto. Scendendo a terra ci si sentirà lievemente più consapevoli dell’aria, certamente rinfrescati, e ci si ricorderà  di quanto sia fondamentale la distanza nel determinare il punto di vista.

Nella migliore delle ipotesi si ridiscenderà prendendo le debite distanze persino da se stessi.

A chi già ha avuto un po’ di paura in mongolfiera si sconsiglia di lanciarsi da 4000 metri col paracadute in 50 secondi di volo libero. Il paracadute sia apre solo a 1500 metri da terra. L’esperienza dura dai cinque ai sette minuti ed è sicuramente d’impatto. L’impatto economico è di circa 200 euro e non sono previsti al momento voli low cost. Le informazioni necessarie si trovano sul sito della mongolfiera.

Attraversando ora Unter den Linden all’altezza di Friedrichstraße si noterà che c’è un cantiere. Dire cantiere in realtà non rende l’idea delle proporzioni dei lavori. Qui è praticamente quasi tutto il grande viale coinvolto. Si è scavato tanto nei mesi scorsi ed ora si gettano le basi delle fondamenta, almeno in questo punto. Sul viale le macchine, i taxi, gli autobus, i camion, le biciclette ed i pedoni continuano a transitare, ma attraverso dei camminamenti e delle corsie provvisorie. I rumori sono molti: il cantiere con tutti i suoi cingolamenti, trapanamenti, segamenti, le urla degli operai che per comunicare devono superare gli stridori dei mezzi che lavorano e quelli del traffico, i clacson di qualche macchina sbucata all’improvviso mentre più di un pedone, credendo di non trovarsi più in Germania, si avventura ad attraversare col rosso, gli impiegati che sono usciti a respirare un po’ d’aria fresca e urlano nei telefonini, le truppe di turisti che cercano di rimanere compatti ed invece qualcuno resta sempre nelle retrovie ed allora il capobranco sventola un ombrello in aria minaccioso, fischierebbe come per ammonire o direttamente per espellere, ma sa bene che deve invece tenere le pecore nere almeno fino alla fine del giro e sorride a denti stretti, masticando il chewingum come fosse una foglia di coca: Sì, per comprare le magliette avremo tempo dopo…

Ecco, ad un incrocio del genere ad uno verrebbe voglia, altro che di passare col rosso, di farsi catapultare da una gru dotata di fionda direttamente 800 metri più in là, nei giardini di Tiergarten e precisamente al piccolo roseto segreto che almeno sei mesi l’anno emette frequenze odorose purissime.

Ed invece magari si ritrova qui piantato un turista sognante appiattito vicino alle barriere che delimitano il cantiere. Ha lo sguardo perso in alto come se avesse una visione mistica. Nel cielo c’è un operaio con la sigaretta in bocca che manovra a due mani una gru dalla quale spenzolano mazzi di pesanti tondini di acciaio lunghi qualche metro. Ma cosa c’è da guardare? Forse è un turista che ha smesso da poco di fumare e sta puntando la sigaretta lassù? Ma no, troppo scomodo, anche a terra è pieno di operai con la sigaretta in bocca: perché perdersi a interrogare la sigaretta in cielo come il Pastore Errante dell’Asia interroga la Luna? No, non sta effettivamente guardando nulla in particolare: sta solo fiutando l’aria come un segugio. E mentre fiuta sogna. Sogna di quand’era piccolo ed andava al mare in macchina coi suoi e nella macchina faceva un gran caldo, ma non c’era l’aria condizionata. Quando faceva caldo si tiravano giù i finestrini a manovella per respirare un po’. Ma anche fuori faceva caldo, almeno cinquanta gradi sotto il sole e tutti volevano andare a fare un tuffo al mare, ma si ritrovavano invece tutti in fila imbottigliati nella stessa strada che portava al mare e respiravano quei vapori di asfalto squagliato…Quei vapori di asfalto squagliato. Ecco proprio quello che il turista annusa ora, e si blocca lì quarant’anni dopo a Berlino e immagina che di lì a  pochi minuti, esattamente dopo l’odore del catrame, arriverà finalmente l’odore della sabbia calda, con altri pezzetti di catrame che vanno e vengono dal mare e poi si tufferà nell’acqua salatissima del suo Mediterraneo…

Può un incubo a cielo aperto trasformarsi in un sogno ad occhi aperti? Può. In una frazione di secondo i recettori olfattivi vanno a stimolare direttamente i centri nervosi dove sono conservati i ricordi e li rievocano e con essi attivano anche le sedi delle emozioni. Ecco che se ci si mette nella disposizione d’animo di recepire anche ciò che passa attraverso il naso, un qualsiasi momento olfattivo ci porta a spasso nel tempo delle nostre esperienze e riesce a collegare intimamente il passato col presente. Gli operai che con la fiamma ossidrica saldano i tappetini di catrame confessano allegramente che loro l’odore del catrame non lo sentono più, ma sono infastiditi dagli scappamenti dei motori diesel in sosta al semaforo. E se si chiede loro di citare almeno un buon odore sorridono, portano la fiamma ossidrica vicino alle travi di legno e ridono: Camino! E’ proprio così: in un attimo si sente il profumo del calore della fiamma ed una delicata nota di legna bruciata, con tutto ciò che per questi lavoratori vorrà dire: casa, domenica, famiglia…Arriva un operaio che stava facendo altro, ma che ora vuole dire la sua: Pizza! Non sentite che c’è una pizzeria lì? E tutti intorno ridono, ma come in un film muto perché il rumore del traffico e del cantiere sono veramente assordanti.

L’aria di Mitte è costantemente proiettata nel futuro. Appena caduto il muro il quartiere voleva immediatamente dimenticare di essere appartenuto alla Repubblica Democratica Tedesca ed anche oggi ci sono strade che quando ci cammini ti guardano dall’alto in basso e se provi a tornare appena una trentina d’anni indietro nella storia ed a chiederti a voce alta: Ma qui non eravamo fino a pochi anni fa nella Repubblica Democratica Tedesca? Ti sembra che i muri freschi freschi di chirurgo plastico ti rispondano sdegnosi: Repubblica Democratica Tedesca a chi? Ma non vedi che siamo la Crème di Berlino? Non senti che aria pura che respiri? Non ammiri le gallerie d’arte e le boutique di lusso? Non percepisci la qualità dei prodotti che esponiamo nelle nostre Boulangeries che fanno il pane sì, ma non come le vostre Bäckerei. Le nostre Boulangeries fanno il pane più che biologico, fanno il pane  bio-di-na-mi-co! Non ti accorgi che la nostra cioccolata è persino amara per quanto è nobile, che i nostri ristoranti ebraici sono naturalmente kosher e che le pasticcerie turche si chiamano Confiserie Orientale? 

Siamo sempre a Berlino, naturellement, ma dalle parti di Oranienburger Straße, ed in particolare faremo quattro passi tra Auguststraße e Tucholskystraße a respirare un po’ d’aria di nouvelle noblesse berlinese. Fra i composti chimici più preziosi che la storia dell’umanità abbia conosciuto troviamo il cloruro di sodio. Fin dall’antichità esso era simbolo di ricchezza e miti e leggende confermano la sua importanza. Possedere il sale significava un tempo avere la possibilità di conservare gli alimenti deperibili e quindi assicurarsi a lungo benessere e sopravvivenza. Ad Auguststraße 89 non abbiamo miniere di sale, ma quasi. Entriamo da Saltero, le Terme del Sale. Non lo facciamo tanto per noi, ma per quel turista che era rimasto inchiodato al cantiere di Unter den Linden a sognare il Mar Mediterraneo. Vogliamo vedere se riusciamo a regalargli un surrogato di mare, anche se questo qui è salgemma. Da Saltero ci vengono a respirare l’aria di sale le persone con bronchiti, asma e allergie, o semplicemente impiegati che nella pausa pranzo vogliono dormire respirando sale. Pagando dieci euro si entra in una stanza con il soffitto incrostato di sale, le pareti incrostate di sale, lampade al sale e pavimento di sale e ci si sdraia su poltrone o divani pieni di sale accanto ad un generatore di sale, ovvero un espiratore che polverizza finissimamente il cloruro di sodio e noi siamo lì ad inalarlo. Una musica new age di sottofondo è pure molto cristallina e noi ci sentiamo immediatamente prima euforicamente stupiti e poi man mano sempre più saporitamente rilassati. Cominciamo a ringraziare il nostro Dio per averci donato la possibilità di aver fatto quest’esperienza e pensiamo di non desiderare altro dalla vita. Ci lecchiamo le labbra e sono salate: ogni tre secondi si ricoprono nuovamente di sale e così i nostri vestiti, la nostre mani…ci lecchiamo continuamente le labbra e pensiamo a quei compulsivi che vanno matti per i pop corn, le patatine, il prosciutto crudo, a coloro i quali si sottopongono a costose e faticose vacanze al mare magari con obbligo di suocera per potere avere sulle labbra questo stesso gusto. Ora il sale comincia però a bruciarci lievemente gli occhi, proprio come quando ci si tuffa nel Mediterraneo. Li chiudiamo. Pensiamo al turista di Unter den Linden. Oh come si sta bene. Le narici iniziano ad essere un po’ secche. Le labbra sono sempre salatissime. Ah, quando si dice: il sale della vita! Ci si sente come rigenerati: è come se questa sostanza si diffondesse a scaldare e contemporaneamente a rinfrescare l’albero bronchiale. Il sale odora al contempo di fresco, di secco e di asciutto. E’ fresco così com’è fresca l’aria pungente. Ecco, mentre penetra un po’ trafigge. Possiamo anche morire così: iniziamo a progettare la nostra vita nell’aldilà con una bara salata, una tomba salata e con tutti i nostri amici allegramente salati  quando una voce russa ci dice in tedesco che i 45 minuti a nostra disposizione sono finiti e che possiamo uscire dalla stanza. Ci svegliamo di soprassalto e sentiamo muoversi nei bronchi qualcosa, come quando, bambini cagionevoli, facevamo le inalazioni, ma in più qui c’era questa bella musica e poi siamo stati comodamente sdraiati e abbiamo fatto pure un pisolino ed ora abbiamo pure tutti i capelli pieni di sale ed usciamo sorridenti come ebeti. Con questo prana che ci balla dentro potremmo andare ovunque, salire con un balzo felino in cima ad una di queste casette a tre piani color pastello e gridare: Berlin! Berlin! Come sei himalayana! I galleristi dalle loro vetrine di fronte non farebbero certamente una grinza. Seduti alle loro scrivanie abbasserebbero un momento i loro occhiali fucsia bifocali sulla punta naso, alzerebbero gli occhi a noi che siamo sul tetto sospirando: Ah, un’installazione!

Ci infiliamo invece nella prima nobile cioccolateria che incontriamo al civico 140 di Linienstraße. Atelier Cacao si chiama, e non a caso. Ci sono delle vere e proprie sculture di cioccolato in questa pasticceria che essa stessa con le sue tinte nocciola, marrone e panna ci abbraccia caldamente. La cioccolata è biologica ed una tavoletta da 100 g costa più di 4 euro. Poi, naturalmente ci sono le creazioni, ma per quelle il discorso è a parte. Si potrebbe dire che non è un posto democratico, però la cioccolata è squisita. Non si sente l’odore di dolce della cioccolata al latte ordinaria. Scopriamo in questo posto che ciò che noi intendiamo comunemente per cioccolata è in realtà prevalentemente latte e zucchero. La vera cioccolata ha un odore ed un sapore di erba tostata, fresco ed amarognolo. Ci ricordiamo in questo momento che la cioccolata era in principio inca, e nobile cibo rituale che avvicinava agli dei e che solo tardivamente si trasformò in industriale, svizzera e  popolare. Ecco, noi in questa cioccolateria sentiamo la compattezza della qualità, l’aroma delicato e fresco e ci immaginiamo di essere vicini all’essenza del cacao. Vorremmo uscire, volare su uno di questi tetti bassi e gridarlo a tutti: Berlin! Berlin! Come sei inca! I galleristi dalle loro vetrine di fronte non farebbero certamente una grinza. Seduti alle loro scrivanie abbasserebbero un momento i loro occhiali fucsia bifocali sulla punta naso, alzerebbero gli occhi a noi che siamo sul tetto sospirando: Il Tacheles?

No, il Tacheles non c’è più. O meglio ad Oranienburger Straße si vede ancora il vecchio edificio del centro sociale sgomberato, però, definitivamente dagli ultimi creativi dopo anni di discussioni fra politici, sociologi, architetti ed occupanti. Un pianoforte, due artisti vestiti di nero, un’orazione funebre suonata e cantata e così fu messa definitivamente una pietra sul Tacheles alla presenza di polizia e giornalisti il 4 settembre del 2012.

Tacheles, parola yiddish che significa parlar chiaro fu un’iniziativa artistica che si insediò in questo edificio nel 1980 intendendo denunciare la censura della libertà di espressione del regime e proseguì poi con successo anche durante tutto il primo ventennio della Berlino riunificata. Tacheles venne poi anche direttamente denominato il luogo: quel fatiscente edificio nato nel 1907 come grande centro commerciale, passato varie volte di mano nel corso del movimentato XX° secolo e divenuto poi sede permanente dell’iniziativa. Ogni anno il Tacheles riceveva visite da 500.000 persone da tutto il mondo e conteneva 30 atelier di un’ottantina di artisti provenienti da 30 paesi diversi. Si visitavano gli spazi espositivi, si assisteva a spettacoli gratuiti, si costruivano statue dalle macerie e si dipingevano di colori vivaci le rovine. Poi il contratto che concedeva l’occupazione dietro pagamento di cifra simbolica scadette e la proprietà manifestò l’intenzione di vendere ed investire diversamente. L’edificio pareva fosse comunque pericolante e si iniziò ad intimare lo sgombero. Ci furono numerose resistenze e contestazioni ed un grande dibattito internazionale. Non mancarono momenti di tensione e momenti in cui pareva che il Tacheles potesse essere immortale, ma il più vivace centro di arte contemporanea della nuova Berlino dopo tanto lottare alla fine morì davvero. Molti artisti dell’ex centro sociale si trasferirono quindi alla Alte Börse, alla Vecchia Borsa nel proletario e periferico quartiere di Marzahn tra campi e Plattenbauten, che sarebbero quei tipici casermoni popolari. Ad Oranienburger Straße si respirano oggi invece una calma ed un vuoto ancora irreali.

Il Tacheles è oggi un variopinto cadavere sul quale nevica giorno dopo giorno guano di piccioni, mentre le strade adiacenti sono tutte nuove e ripulite e mancano di elementi vecchi di paragone che possano in qualche modo fare da raccordo o da contrappeso alla staticità del gusto di questa Berlino ristrutturata. Nelle immediate vicinanze di Oranienburger Straße è tutto bello, buono e giusto e ci mancherebbe che ce ne lamentassimo. Da Quartiere dei Fienili ricettacolo di gente poco raccomandabile, a quartiere alloggio degli ebrei scappati dall’Est europeo, a quartiere fantasma pieno di ferite di guerra ai tempi della Repubblica Democratica Tedesca, questa zona è ora tranquilla e pura. E’ molto international e poco multikulti.

La pasticceria turca di Linienstrasse si chiama, ad esempio, Confiserie Orientale Istanbul-Berlin ed ha una fresca aria provenzale. Gli arredi sono quasi completamente bianchi, bordati da fili d’oro e fiorellini. Il tè è profumatissimo, i Lokum, quelle caramelle gelatinose al miele che sono ricoperte di scaglie di cocco oppure contengono una nocciola, oppure pistacchi triturati sono esposti come gioielli e sono delicatissimi tanto nell’aroma quanto nel palato. Sembra praticamente di stare su una nuvola. Su una nuvola turca di una Turchia eterea. I turchi che sono seduti a bere il tè hanno l’aspetto di mercanti d’arte. Questo caffè orientale è così tranquillo che non usciremmo questa volta con l’entusiasmo di volere salire sul tetto per urlare: Berlin! Berlin! Come sei orientale! No, ci trascineremmo, questa volta così, ancora sospesi, rasenti il candido muro e sussurreremmo muovendo appena le labbra, in modo che non ci senta nessuno: Berlin, Berlin, que tu es oriental… Ma i galleristi dalle loro vetrine di fronte, seduti alle loro scrivanie che proprio in quel momento avessero abbassato i loro occhiali fucsia bifocali sulla punta del naso per leggere il nostro labiale alzerebbero gli occhi a noi che abbiamo bisbigliato sospirando: Oui

Siamo all’incrocio con Tucholskystraße e seguiamo semplicemente l’odore del pane che ci porta al civico 31. Il pane qui non è normale: è biodinamico e cotto a legna ed il negozio si chiama Wiener Brot, Pane Viennese. Ma come si fa a dire: Berlin! Berlin! Come sei viennese? Il pane è comunque veramente buono. Il nostro percorso olfattivo termina al Café Beth, celebre ristorante kosher di Berlino. Al Café Beth ci si va due volte, perché una non basta. La prima volta si sta bene e la seconda si entra per carpire i segreti di questo benessere. Anche la seconda volta si sta bene, ma non si sa perché ed allora ci si viene una terza volta…

Questo è un ristorante israeliano e, considerato che gli ebrei berlinesi vengono soprattutto dalla Russia o dalle ex Repubbliche Sovietiche, da Beth si trovano soprattutto ebrei non berlinesi.

In questo posto c’è un’aria veramente singolare. Innanzitutto non si possono usare telefoni e fare foto e già questo dona all’ambiente una certa nota di purezza: la gente è tutta composta e parla a voce bassa. Alcuni uomini entrando si mettono la kippa e si sciacquano le mani nella bacinella posta all’ingresso versandosi l’acqua da una brocca. Il locale è arredato con eleganza raffinata, ma in modo domestico, quindi l’impressione è quella di trovarsi a casa propria, o meglio in una sala da pranzo di un’agiata famiglia del Novecento, con le chiare porcellane fini esposte sui comò scuri, i mazzi di lavanda essiccata, i divani in velluto rosso, le poltrone marroni, il pavimento in veneziana, ed una porta a vetri che dà su un salottino con il vecchio pianoforte. Un uomo con gli occhialini tondi, pieno di capelli bianchi che escono dalla kippa, con una camicia bianca, un gilet nero e pantaloni neri si siede tranquillo ad un tavolo dove una compostissima bambina appena uscita da scuola, i capelli raccolti in un ondulato e morbido chignon color del miele, sta facendo i compiti. Gli odori sono neutri o provengono per fasci sottili distinti come si trattasse di un’arcobaleno aromatico. Alle pareti ci sono foto di vita ebraica israeliana e nelle orecchie entra musica tradizionale a bassissimo volume. Si sente ora un filo penetrante d’aceto, ora un fascio di profumo di fagioli, poi una zaffata di zenzero, ma è come se le diverse fragranze riuscissero tutte a mantenere una propria identità. La zuppa di cocco e carote sprigiona prima di tutto un intenso aroma di prezzemolo e poi arrivano man mano a raggiungerlo anche gli altri ingredienti, senza però mai spintonarsi.

Ora non sappiamo se le ragioni di tanta armonia siano da ricercarsi nei precetti della cucina e della vita kosher, ma qui si può tranquillamente affermare di respirare aria buona.

Numerose sono le regole della cucina kosher, la più nota delle quali è forse quella che vuole che carne e latte non debbano mai essere mescolati. Altra regola riguarda le carni: si utilizzano volatili, pecore, capre e mucche, ma macellati nel tradizionale modo kosher che non fa soffrire l’animale.

Per quanto riguarda i pesci, sono consentiti solo quelli che hanno squame e spine.

Qui al Beth si servono di norma solo cibi parve, cioè neutri, che non contengono latte e carne.

Ecco che scompaiono così dalla cucina praticamente tutti gli odori dei grassi animali ed è probabilmente a questo punto proprio grazie a questa scelta che l’aria è qui così pura e così opposta a quella che si respirerebbe mangiando il cibo tipico della cucina tedesca. Uno stinco di maiale, per intenderci, o un bratwurst sarebbero cioè da Beth, anche probabilmente solo ad evocarli, l’equivalente di una bestemmia.

Quando si desidera quindi un cambio d’aria a Berlino, si può venire qui a respirare un po’ di chumus, cioè di quella fresca salsa di ceci che metteremo direttamente sulla pita, senza usare le posate e porteremo prima al naso e poi alla bocca. Il riso con le lenticchie è un matrimonio perfetto: il riso rimane fieramente riso, la lenticchia rimane dignitosamente lenticchia e noi rimaniamo contenti. Le melanzane fritte al pomodoro sono tanto semplici quanto fresche e delicate, nonostante la frittura. I fagioli all’aglio ed al prezzemolo sono un trio decisamente robusto con l’aglio che brucia prima le narici e poi lo stomaco ed i classici peperoni verdi sott’aceto tipici della cucina mediorientale sanno qui molto di peperone e poco di aceto e poiché sono appoggiati su una fetta di vero arancio dolce israeliano sono persino lievemente aromatici e zuccherini. E’ incredibile come possa essere alto il risultato di una cucina semplice fatta con amore, intelligenza e materie prime eccellenti. Anche un singolo spicchio di arancio dolce può illuminare una giornata.

Berremo un liquore di mango fatto in casa e con l’alcol che va giù caldo ed il mango che sale su fresco usciremo vibrando scissi e felici.

Potremmo esternare che ci sentiamo adesso kosher, ma ogni esternazione che riguarda gli ebrei rischia sempre di essere male interpretata o genera disagio. Due poliziotti piantonano perennemente il Beth Café e soprattutto l’adiacente sinagoga così come pure l’accesso alla Nuova Sinagoga di Oranienburger Straße che in aggiunta è presidiato anche dal metal detector. Questo retrogusto di aria da territori occupati lascia sempre un po’ perplessi e ci si chiede non senza un velo di tristezza se la Questione Ebraica o, per esteso, questo mondo troveranno mai pace.

6 anni fa