Il Ring

Raffaela Rondini

Il Ring, parola che significa  Anello, è quella tratta circolare della S-Bahn che corre tutta intorno alla zona semicentrale della città. Si può percorrere in senso orario, ed allora prende il nome di S41, od in senso antiorario, ed in questo caso viene chiamato S42.

Il Ring percorso senza mai scendere dura poco più di un’ora. Non è come salire sulla U-Bahn: qui ci si potrebbe anche dimenticare di scendere e non succederebbe niente: prima o poi si ritornerebbe sempre allo stesso punto.

Stando seduti in treno si vede tutta Berlino da un punto di vista lievemente eccentrico, nel senso di spostato dal centro. Un giro in Ring senza mai scendere non è proprio un giro turistico nel senso classico del termine. Non si vedono i posti più belli e conosciuti di Berlino e però si capisce molto della città vera, quella che sempre di più rischia di scomparire. Il giro che noi faremo contempla, in realtà, qualche fermata e però in posti assolutamente non convenzionali.

Da qualche parte bisognerà pur entrare nell’anello e poi bisognerà pure decidere se percorrerlo in un senso o nell’altro. Altri pensieri il Ring non ne dà, perlomeno non di tipo contingente. Ci si potrebbe tranquillamente lasciare andare nel vortice del circuito e persino decidere di non scendere mai più. Così pare che facciano le coppiette che non sanno dove altro andare in caso di intemperie. Fino a quando poi, sfiniti, non si lasciano.

Noi saliremo in una stazione tipica del Ring, cioè ad una stazione al momento senza infamia e senza lode, nella speranza che questo luogo non venga nel frattempo anch’esso travolto dall’onda del rinnovamento. Il Ring sarebbe infatti nel profondo del suo animo tanto centrale quanto periferico, tanto di destra quanto di sinstra, tanto ad Ovest quanto ad Est. Il Ring sarebbe praticamente un routiniero qualunquista, se non fosse che regolarmente lo si vuole qui e là improvvisamente ammodernare.

Saliremo alla stazione di Schöneberg che non è di sicuro all’ultimo grido, ma neppure decrepita e perciò ci sono buone speranze che si mantenga ancora un po’ così: laterale, fuori moda, non più citata dalle guide e perciò tanto vera. Schöneberg è di un bel grigio spento di ferro non più nuovo, ma non ancora arrugginito, i vetri smerigliati sono tutti impolverati e le travi del tetto sono in legno puro. Tutt’intorno cresce selvaggia la vegetazione. Da qui decidiamo di percorrere il Ring in direzione Est e prendiamo perciò la S42. Vediamo subito passare il Gasometro di Schöneberg, che qui resiste come pezzo storico, mentre ad Est il suo omologo, che pure non dava fastidio a nessuno, è stato fatto saltare. Possiamo affermare con sicurezza che ad Ovest i gasometri ed i quartieri sono ad oggi più stabili. Fino a prova contraria. Siamo già arrivati alla stazione successiva. Südkreuz è dal maggio del 2006 grande, nuova e luminosa. Prima si chiamava Papestraße ed è stata da sempre nel cuore dei rinnovatori perché è in un posto strategico: esattamente a Sud dell’anello. Già Albert Speer, l’architetto nazista che progettava la nuova Berlino come capitale della nuova Germania aveva per essa grandi ambizioni. Oggi Südkreuz è uno snodo ferroviario importantissimo in direzione dell’aeroporto di Schönefeld e vanta uno dei più grandi parcheggi di Berlino: 2500 posti. Ci sono un mare di binari eppure ha l’aria un po’ vuota, come se ci fossero altri modi per raggiungere l’aeroporto e la città. Ed infatti ce ne sono molti altri. Da qui si dipartono ancora scavi ed ancora rotaie e poi tanti mucchi di sabbia. Vediamo vecchi treni merci arrugginiti parcheggiati lateralmente e poi si arriva a Tempelhof. Questa stazione è ancora vecchio stile, ma il nostro sguardo è catturato subito oltre: siamo attratti dall’immenso verde del prato. Se è un giorno di sole si vedono correre migliaia di puntini colorati che tirano un aquilone o sfrecciano come avessero le rotelle.

C’è tanto, tanto verde e poi ai lati della ferrovia ancora cumuli di sabbia. Non facciamo in tempo a chiederci a cosa mai servirà che siamo già  ad Hermannstraße con tante vecchie case. Neukölln è la stazione successiva che è esplosivamente popolata, come se la folla di Berlino si fosse data tutta appuntamento qui, variopinta nel look e nei colori come non mai. Quando raggiungiamo Sonnenallee notiamo che sia all’interno che all’esterno del Ring le case sono vecchie e popolate. Se un tempo questa era periferia dove abitavano i lavoratori delle fabbriche, oggi sono rimaste poche fabbriche e pochi lavoratori, ma c’è comunque un gran movimento. Qualche fabbrica si vede ancora, comunque. Arriviamo a Treptower Park e ci si spalanca un orizzonte di campi, cumuli di ghiaia, ciminiere, gru, palazzi nuovi e capannoni industriali. La struttura di ferro della vecchia stazione è tutta pitturata di azzurro intenso, come fossimo su un’isola del Mare Egeo. Questo è un gran bel posto fluviale di Berlino. Attraversiamo il ponte e da una parte e dall’altra luccica la Sprea. Le navi vanno e vengono. Il panorama si fa apertissimo e siamo ad Ostkreuz, che si presenta nella sua parte sopraelevata nuova come Südkreuz, mentre sotto si scava. Eccome si scava. Scavo ergo sum, si potrebbe dire della Berlino di oggi: ad ogni angolo c’è un cantiere. Questo di Ostkreuz è al momento il principale cantiere ferroviario della capitale. Per un secondo, ma solo per un secondo, ci viene in mente uno dei pensieri del grande economista inglese John Maynard Keynes, che teorizzava che qualsiasi opera pubblica fosse adatta a risollevare le sorti di un paese purché si spendesse. Arrivò ad illustrare la sua idea con il celebre esempio paradossale dello Stato che pur di occupare i disoccupati fa loro scavare una gigantesca buca per poi chiedere agli stessi di riempirla nuovamente in modo che gli ex disoccupati  percepiscano un salario. Questa disponibilità a spendere avrebbe poi incrementato i consumi perché i lavoratori avrebbero subito speso i loro soldi attorno alla buca stessa dove sarebbero sorti negozi ed osterie.

Ora queste di Ostkreuz non sono certo buche keynesiane. La stazione datata 1933 necessitava già da tempo di vere ed urgenti cure tanto era malandata: Rostkreuz l’avevano soprannominata e Rost significa appunto ruggine. Ma chissà se fra tutti i cantieri che si vedono in città ne troviamo almeno uno che ci ricordi un po’ il paradosso keynesiano.

Scendiamo ad Ostkreuz per accertarci dello stato dei lavori. Il cantiere è un sistema complesso fatto di tante squadre di operai che sono impegnate in compiti diversi. Vediamo i piastrellisti che stanno ultimando i marciapiedi fra i binari, ma uno dei binari è però ancora un solco di terra senza rotaie. Stendono la sabbia coi rulli e poi il ghiaino, quindi adagiano le mattonelle sopra con la livella.

Al binario accanto, dall’altra parte del marciapiede, passano comunque treni e allora per avvertire gli operai al lavoro qualche secondo prima dell’arrivo di un treno parte l’assordante suono di una sirena. La prima sirena spaventa a morte, sembra un allarme antincendio, la seconda, dopo neanche cinque minuti, è già più consueta, alla terza sirena in dieci minuti non ci si fa quasi più caso. Passa ora fischiando e senza fermarsi il  Warschauer ICC di uno strano violetto esotico che va a Varsavia. Ai lati dei binari strisciano lunghissimi tubi di gomma nera che contengono cavi. Sul marciapiede si martella, si trapana, si srotolano fili, si trasportano secchi pieni di sabbia, si spala, si misura, si sega. Tantissimo lavoro è fatto a mano, nonostante la tecnologia. Le macchine gigantesche aiutano, certo, ma quando si vedono gli uomini al lavoro le scene non sono tanto dissimili dalle miniature che raffiguravano le squadre di artigiani che nel medioevo costruivano le grandi cattedrali.

Seduti in un altro angolo del cantiere altri lavoratori fumano sigarette e se la raccontano.

Sul lato Est della stazione un operaio manovra con un telecomando una grossa gru che trasporta del vecchio cemento da vecchie fondamenta ad una montagna di detriti. I grandi contenitori sollevati dalla gru sono riempiti a palate dagli operai. Qualcuno parla al cellulare e qualcun altro va alla toilette. Su questo grande cantiere una lunga passerella di ferro provvisoria porta ai binari e se qualcuno che è in ritardo corre il ponte balla come se ci fosse il terremoto.

Torniamo a prendere, senza correre, il nostro treno e se lo perdessimo dopo dieci minuti passerebbe comunque il successivo.

Tra palazzoni nuovi e vecchie costruzioni arriviamo a Frankfurter Allee, un tempo orgoglio del Socialismo, oggi semplice stazione del Ring.

A Storkower Straße i grattacieli che vediamo a destra e che ora sono stati dipinti allegramente con un bel celeste-cielo-di-Berlino, rosso, verde giallo e blu da Gustavo, un vivace artista spagnolo, non sono Plattenbauten qualsiasi. Sono i protograttacieli della ex Repubblica Democratica Tedesca, il primo progetto d’avanguardia del nuovo concetto abitativo. A sinistra c’è un centro commerciale che si chiama Kaufland, dove kaufen significa comprare e Land, terra, paese. Tutt’insieme sarebbe quindi una Compropoli, una Terra degli Acquisti, Un Paese Mercato. Tra i grattacieli ed il centro commerciale, sospeso sui binari della ferrovia, corre quello che un tempo era uno dei più lunghi ponti della Germania e che da alcuni viene definito anche il più brutto. Se anche così fosse la bruttezza ha qui un enorme fascino. Fu costruito nel 1937 per motivi igienici, per tenere la popolazione lontana dalle aree dell’adiacente mattatoio. Ai tempi della Repubblica Democratica Tedesca il mattatoio impiegava 2000 lavoratori e riforniva anche il mercato dell’Ovest. Scendiamo subito dal treno.

Il ponte è tanto lungo e coperto come un tunnel e per una metà sembra un po’ rinnovato e presenta una bordura rossa, per l’altra metà appare più vecchiotto e probabilmente figlio di un’altra competenza. Saliamo sul cavalcavia, non possiamo farne a meno. La ferrovia sotto è quella della S-Bahn, ma poi ci sono interrati anche binari dei treni a lunga percorrenza. I binari della S-Bahn entrano ed escono da due vecchi ponti di ferro pieni di grossi bulloni. Dal sovrapasso la ferrovia sembra circondata di cespugli prosperosi. Se guardiamo al centro commerciale ci sono tanti cartelloni che dicono che qui si compra tutto a poco prezzo.

Siamo in un posto che, se non fosse per la Fernsehturm e le due cupole della Frankfurter Tor, definiremmo fuori dal mondo. Siamo ancora sul Ring della S-Bahn, ma in un punto da cui parte una macchia sfocata vagamente tangente allo smarrimento.

La gente che si vede circolare ha veramente l’aria di aver risparmiato tantissimo, eppure non giubila. Se Alexanderplatz dà a taluni ancora un senso di straniamento qui ci troviamo in una vera e propria terra di nessuno, un po’ come in tutti i centri commerciali del mondo, certo, ma con in aggiunta un contemporaneo squisito velo di tristezza e di indeterminatezza propri del purgatorio. Se i centri commerciali devono per definizione sempre darsi almeno un po’ di tono, mostrarsi in qualche modo accattivanti, fare un minimo l’occhiolino al cliente, qui sembra di essere nell’etereo oltretomba del commercio, dove non solo non si fa nessun occhiolino, ma lo sguardo è totalmente languido e distaccato. Non è questa affatto una critica od un affermazione che qui non si tengano transazioni, anzi! Le numerose capienti macchine parcheggiate sono sicuramente pronte a caricare il voluminoso risparmio, ma tutto ciò si svolge oggi in un’atmosfera di sorprendente vaghezza e di ieratico, sensuale disinteresse. Accanto a Stadler, che dovrebbe essere il magazzino di biciclette più grande di Germania, c’è un grande campo col prato incolto pieno di margherite e con un giovanissimo bosco di alberelli di betulle. Il prato si chiama Hermann-Blankenstein Park e la struttura in ferro è lo scheletro del vecchio mattatoio. Siamo a Rinderauktionshalle Straße, letteralmente via della Sala dell’Asta Bovina, un nome che dice tutto.

Si sente un odore dolciastro di fabbriche misto a quello di currywurst che proviene dai chioschi sul piazzale.

Lasciamo questo che è probabilmente uno dei centri commerciali più affascinanti del mondo e risaliamo, colmi di vuoto, sul nostro treno.

A Landsberger Allee sale un’umanità così diversa da quella che abita sulla Ku’Damm, il viale della grande moda internazionale, e si pensa che una grande città è veramente varia.

A Greifswalder Straße c’era un tempo un gasometro che è stato fatto saltare nel 1984 per dar spazio all’allestimento del parco di 25 ettari da intitolare ad Ernst Thälmann. Il gasometro, attivo dal 1873 al 1981, aveva prestato 108 anni di onorato servizio alla città. Dalla distillazione di carbon fossile si ricavava un tempo il gas che andava ad illuminare i lampioni a gas delle strade. Dal 1908 dalla combinazione di monossido di carbonio ed acqua si iniziò ad estrarre il gas d’acqua. Le trasformazioni del carbone, del coke degli altri combustibili liberavano anche nei vicini quartieri residenziali cianuro, fenoli, acido solfidrico, catrame, naftalina ed ammoniaca. Nei piani di Albert Speer, l’architetto nazista, c’era l’idea di costruire qui un grande parco, ma poi venne la guerra.

La Repubblica Democratica Tedesca prese qui una delle sue ultime gloriose decisioni. Dal 1983 al 1986 circa 1300 lavoratori costruirono alloggi per 4000 abitanti e per ogni abitante piantarono un albero. Si destinò una superficie della grande area a prato, si costruì un laghetto artificiale, un centro culturale, una piscina ed il Planetarium ed il tutto venne inaugurato per il centenario della nascita di Ernst Thälmann, il 16 aprile 1986. Il concetto di luogo abitativo, culturale e ricreativo all’interno di un grande parco era del tutto nuovo per la fatiscente Repubblica. Il Thälmann Park venne amato dai cittadini e considerato un vero e proprio dono alla popolazione. In occasione della sua inaugurazione si scoprì anche l’impressionante statua in bronzo alta 13 metri e lunga 15 del peso di 50 tonnellate che raffigura Ernst Thälmann su un gigantesco zoccolo di granito rosso dell’Ucraina. La statua fu opera di uno scultore russo amico personale del Presidente Honecker, Lew Jefimowitsch Kerbel e celebri e quotatissimi scultori della ex Repubblica Democratica Tedesca si offesero naturalmente per non aver ricevuto un invito a realizzarla. Il sentimento dei cittadini di questa zona si scompose allora in varie onde emotive in un momento tanto delicato della storia della Repubblica. L’abbattimento del gasometro fu vissuto dai più con dolore, come un deturpamento del paesaggio consueto, come uno sradicamento di un simbolo visibile di appartenenza a quei luoghi, mentre la realizzazione del grande parco fu invece considerata opera positiva e di immediata fruizione sociale. I politici erano oramai agli occhi del popolo sempre più una casta, che viveva in un quartier generale in campagna, a Wandlitz e non si faceva mancare nulla. Nel momento in cui si esacerbava la distanza fra governanti e governati e montava l’incontenibile scontento del popolo per le repressioni, le privazioni e le menzogne, la celebrazione per il centenario di Ernst Thälmann ed il dono del grande parco con lago, centro culturale, piscina e complesso residenziale sembrò per un attimo frenare l’inesorabile treno della Storia che premeva per smarcarsi dal Socialismo. Ernst Thälmann era stato un grande simbolo di resistenza e di lotta. Segretario del Partito Comunista, fu una delle maggiori personalità del movimento operaio. Venne subito arrestato nel 1933 dai Nazionalsocialisti e tenuto undici anni in carcere prima di venire giustiziato a Buchenwald. Il 24 aprile del 1933 scriveva alla moglie Rosa: Un uomo che ha il senso della dignità non rinuncia alle sue azioni. Ci si può accanire, è vero, nel braccare il bene e la verità, ma una volta ch’essi hanno messo radice è impossibile soffocarli per molto tempo…come fanno molte altre donne, obbligate a vivere in tempi così difficili, lontane da coloro che amano.

La figura di Thälmann veniva probabilmente usata demagogicamente dai capi della Repubblica Democratica Tedesca come tentativo di salvataggio in corner dallo sfacelo della Repubblica, ma il popolo intendeva oramai senza dubbio la Resistenza di questo grande uomo al di fuori dalle ragioni di Stato.

Tre anni dopo cadde il muro. Negli anni Novanta gli abitanti del quartiere si lamentarono per i cattivi odori. Il suolo era certamente stato bonificato da quando il gasometro era stato smaltito, ma nelle falde acquifere si trovarono alti livelli di cianuro e fenoli. Dal 2004 sul lato Est del parco è attivo un depuratore che pesca 15 metri cubi di acqua l’ora da 30 metri sottoterra per purificarla.

Nel 1993 il Senato di Berlino propose di rimuovere la mastodontica statua col pugno alzato in segno di saluto e di lotta, ma il Quartiere di Prenzlauer Berg si oppose.

Nel 1997 lo stesso Quartiere di Prenzlauer Berg chiese ufficialmente ai suoi abitanti se veramente avessero intenzione di mantenere quel nome al parco. E gli abitanti del quartiere risposero di sì. Thälmann Park resta Thälmann Park. Di fronte al Planetario troviamo oggi un parco giochi artistico, con sculture rivestite di mosaici colorati, realizzato dall’artista Steffi Bluhm con l’aiuto dei bambini che porta il nome di Sternenspielplatz, Parco Giochi delle Stelle. E’ un parchetto piccolo per bambini piccoli, con un serpentone, uno scivolo, una nave per le avventure ed un sagittario da cavalcare e tre stelle da cui parlare al telefono, ma tutto è rivestito di luminose mattonelline colorate. La ferrovia passa proprio accanto, ma nella bella stagione è coperta dalla vegetazione. Così capita ai bambini di sentire continuamente passare il treno vicinissimo dietro i cespugli senza mai vederlo.

A Prenzlauer Allee scendiamo di nuovo a fare i turisti. Non c’è da camminare molto. La stazioncina è tutto quello che c’è da vedere. I vecchi palazzi sono in gran parte coperti dalle verdissime fronde degli alberi, che ornano pure l’arco ad ogiva dell’antica galleria dalla quale sbuca il treno. L’atrio della stazione è tutto di mattoncini che formano dei disegni geometrici, le finestre sono tante e rettangolari e dal soffitto trabeato pende una grandissima e pesantissima corona piena di lampadine.

In questo luogo si possono comprare, volendo, fiori, oppure sigarette. Usciamo per un vecchio portone e guardiamo la piccola stazione da fuori che appare veramente ben conservata. Siamo felici che non sia ancora hi-tech e che abbiamo avuto la fortuna di gustare ancora un pezzetto di storia.

Schoenhauser Allee passa veloce col suo centro commerciale, i suoi vecchi palazzi ed i treni delle ferrovie extraurbane che ci corrono a fianco.

Gesundbrunnen più che una stazione è un tunnel funzionale senza grazia e senza luce e meno male che passa anch’esso presto e ci rituffa nel verde.

A Wedding ci sono tante fabbriche, grandi supermercati, cumuli altissimi di carbone e palazzoni nuovi con tante antenne paraboliche che avvicinano la patria lontana.

Westhafen significa che siamo completamente ad Ovest. Il bello degli anelli è questo: velocissimamente si passa dall’Est all’Ovest. Questo scalo è pieno di container con ferri vecchi, silos. Ma dov’è la Berlino scintillante?

Arriviamo a Beusselstraße, ma questo Ring si fa veramente bruttino. Capiamo che quest’anello ferroviario era stato concepito anche con funzioni di trasporto di merci direttamente dalle fabbriche.

Doveva servire a collegare la periferia industriale della città ai nuovi quartieri operai e a far scorrere sugli stessi binari materie prime, prodotti lavorati e persone. Quando si dice la praticità tedesca. In verità si era progettato anche un anello più esterno da riservare esclusivamente ai treni merci, ma poi ci si mise la Storia di mezzo con la guerra, la miseria, la divisione ed il Ring rimase così: polifunzionale. Molte fabbriche poi comunque nel frattempo si trasferirono anche altrove.

Jungfernheide ci fa pensare che le periferie industriali hanno tratti molto simili ovunque. Per chi si era lanciato neanche mezz’ora fa in commenti sulla desolazione dell’Est è giunto ora il momento di chiedere venia, o per par condicio, di dire lo stesso dell’Ovest. Ma ecco che vediamo qualcosa di sorprendente: il fiume, la chiusa, gli orti coltivati con amore e stretti fra due ferrovie e l’autostrada. Una grande differenza fra il Ring dell’Est e quello dell’Ovest sono le automobili che sfrecciano qui rombando insieme ai tir su autostrade e tangenziali.

A Westend ci sono veramente molte auto. Si vede la Rundfunkturm, la Tour Eiffel di Berlino, simbolo dell’Ovest un tempo orgogliosamente contrapposta alla Fernsehturm di Alexanderplatz, quest’ultima chiamata con scherno Teleasparago, St. Walter, come il Presidente della Repubblica Democratica Tedesca, o Vendetta del Papa, perché una luce a forma di croce veniva riflessa sulla sfera. Mentre la Rundfunkturm è oggi dimenticata, la sua sbeffeggiata rivale è oggi amato simbolo unificato di Berlino.

Messe Nord/ICC è la stazione successiva e qui ci si viene due volte l’anno per due grandi fiere: la Gruene Woche, ovvero la Settimana Verde, dedicata all’agricoltura, amatissima dai Berlinesi e poi la IFA, la fiera delle nuove tecnologie. Per il resto la moderna e funzionale fiera di Berlino ospita eventi di minimo richiamo.

A Westkreuz si torna ad un panorama urbano con tante vecchie case.

Halensee rimase chiusa ai tempi del muro per i passeggeri, ma continuarono ad essere molto usati i binari adiacenti come scalo merci. Con la riunificazione del Ring tornarono i passeggeri e scomparve definitivamente il trasporto delle merci.

Ad Hohenzollerndamm tornano le ciminiere e tante auto.

Ad Heidelbergplatz c’è un serpentone di case costruito direttamente sull’autostrada e giardinetti dove scappare il finesettimana a coltivare i fiori.

A Bundesplatz siamo di nuovo in città, ma la tangenziale è veramente trafficata.

A Innsbrucker Platz si vede la bandiera del Municipio di Schöneberg e capiamo che siamo arrivati dove eravamo partiti: a Schöneberg.

Usciamo dal Ring a qualsiasi costo, con qualsiasi calamità meteorologica. Salutiamo la coppietta che ci era seduta a fianco, ma che comunque non si era accorta di noi, ed affrontiamo la città da turisti.

6 anni fa